Anche la Germania sta valutando se interrompere le forniture militari ad Israele. “È attualmente in discussione, non posso ancora rispondere – dice il ministro della Difesa Boris Pistorius ai media tedeschi durante una visita a Washington – la competenza risiede innanzitutto nel cancellierato e nel ministero degli Esteri. Io sono adesso a Washington. Naturalmente a porte chiuse abbiamo scambiato opinioni a riguardo, ma non è il mio compito annunciare adesso decisioni”. Alcuni giorni fa la portavoce del ministero degli Esteri Kathrin Deschauer, pur rimarcando il diritto israeliano a difendere la sua popolazione e riavere gli ostaggi rapiti, aveva ribadito che un’operazione a Rafah sarebbe “una catastrofe umanitaria preannunciata”, d’altronde Hamas “fa un gioco cinico” sulla pelle dei civili. Per la Germania il diritto di esistenza dello Stato ebraico è ragione di Stato e la maggior parte delle autorizzazioni tedesche all’export di armi sono successive all’attacco degli islamisti palestinesi del 7 ottobre, assurgendo a secondo fornitore dopo gli Usa.

La Berliner Zeitung aveva riferito alcune settimane fa del ricorso contro la Repubblica Federale Tedesca di tre palestinesi, assistiti da sette avvocati, con l’organizzazione umanitaria “European Center for constitutional and human rights” ed altri organismi, al tribunale amministrativo di Berlino, per interdire l’esportazione di armi ad Israele. Secondo dati citati dal giornale fino a novembre 2023 la Germania ne avrebbe decuplicato la consegna rispetto all’anno prima ed un decimo del volume ha riguardato armi da guerra. I ricorrenti censurano in particolare la fornitura di 3mila obici anticarro idonei anche a distruggere le infrastrutture civili. Il tribunale ha chiesto al governo tedesco di spiegare entro il 15 maggio i criteri secondo cui le armi sono fornite ad Israele senza violare il diritto internazionale. La Corte presuppone quindi che nessuna consegna che rientri sotto la legge sul controllo delle armi da guerra abbia luogo prima della definizione del ricorso urgente pendente. Berlino peraltro ha già rintuzzato con successo davanti alla Corte penale internazionale dell’Aia un ricorso urgente del Nicaragua volto a bloccare le esportazioni di armi ad Israele. La Berliner Zeitung cita, per altri versi, il precedente di un tribunale in Olanda che ha bloccato a febbraio la consegna ad Israele di parti di ricambio per aerei da combattimento F-35 e aggiunge che anche il Canada a marzo ha bloccato le forniture militari.

Pistorius, pur ammettendo in modo reciso di poter capire la decisione del presidente Biden, per ora ha solo ribadito che Berlino insiste ad invitare Israele “a non eccedere, puntare ad una de-escalation e rallentare, perché quello che sta avvenendo non giova alla regione e certamente non alla popolazione sofferente nella Striscia di Gaza“. La posizione ufficiale resta dunque quella empatica riportata dal ministero: auspicio che “tutte le parti facciano seri sforzi per giungere ad un cessate il fuoco umanitario” e “gli ostaggi vengano finalmente liberati”. Il governo tedesco partecipa ancora ai lanci aerei di generi alimentari agli sfollati a Gaza che a far data 3 maggio hanno coperto circa 210 tonnellate di aiuti in ben 30 missioni, dapprima con C130 ed ora con velivoli A400M.

L’equilibrio di Berlino è messo in discussione nelle proteste universitarie, come suggeriscono i vari episodi dell’ultima settimana. Dopo lo sgombero della polizia di un campus pro-Gaza nella Freie Universität di Berlino, invocato dal rettorato per slogan antisemiti e roghi della bandiera israeliana, in una lettera aperta un centinaio di docenti universitari si sono schierati coi dimostranti. La ministra tedesca dell’Istruzione Bettina Stark-Watzinger (liberale della Fdp) si è detta scioccata: “Proprio loro devono orientarsi alla Costituzione”. L’ambasciatore dell’Autorità Palestinese in Germania Laith Arafeh ha invece commentato alla Dpa, la principale agenzia di stampa tedesca: “Il margine per la facoltà di espressione e la libertà accademica riguardo Israele e la guerra a Gaza continua a ridursi”. All’Università di Amburgo, dopo un dibattito sull’odio antiebraico, un’ascoltatrice 26enne si è accapigliata con la relatrice, una componente del direttivo della Società Germania-Israele.

A segnale contro l’antisemitismo, giovedì, è stato conferito ad Aquisgrana il Karlspreis – che dal 1950 insigne personalità distintesi nell’unificazione europea – al presidente della Conferenza Rabbinica Europea Pinchas Goldschmidt, quale “costruttore di ponti tra persone e religioni attraverso tutti i confini”, ed alle Comunità Ebraiche Europee, con laudatio del vicecancelliere, il verde Robert Habeck.

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