Proprio mentre il presidente francese, Emmanuel Macron, incontra a Parigi l’omologo cinese, Xi Jinping, nuove nubi si vanno addensando sulle vetture elettriche cinesi commercializzate in Europa. Al centro della discussione c’è la presunta concorrenza sleale della Repubblica Popolare, che consente alle vetture Made in China (oltre 30 milioni quelle prodotte localmente nel 2023) di essere commercializzate nel vecchio continente a prezzi più competitivi rispetto a quelli dei prodotti europei.

“Dobbiamo agire per garantire che la concorrenza sia equa e non distorta. Incoraggerò il governo cinese ad affrontare le sovracapacità produttive nel breve termine”, ha dichiarato stamane la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: “Attualmente la Cina produce, con massicci sussidi di stato, più di quanto vende a causa della debolezza della sua domanda interna. Ciò sta portando a un eccesso di offerta di beni cinesi sovvenzionati, come i veicoli elettrici e l’acciaio, che si traduce in un commercio sleale. L’Europa non può accettare queste pratiche di distorsione del mercato che potrebbero portare alla deindustrializzazione dell’Europa”.

Queste le ragioni che, qualche mese fa, hanno spinto la Commissione europea ad avviare un’indagine anti-dumping sui costruttori cinesi. Proprio nelle ultime ore, è emerso che i tre car maker cinesi di punta, BYD, Geely e Saic, non hanno fornito alla Commissione informazioni sufficienti sui sussidi statali ottenuti da Pechino, sulle loro attività produttive e sui rapporti di fornitura che li agevolerebbero rispetto a quelli occidentali. Pertanto, l’Ue potrebbe varare dazi più elevati sulle importazioni di auto cinesi delle suddette multinazionali, che a loro volta hanno lamentato l’eccessiva quantità di informazioni richieste dalla Commissione e di non poter rispondere alle richieste che riguardano i loro fornitori.

Un prologo su quelle che potrebbero essere le conseguenze commerciali di un inasprimento dei dazi sulle vetture cinesi arriva proprio dalla Francia: la formula degli incentivi all’acquisto varata da Parigi, infatti, tiene conto di fattori come le emissioni dei trasporti marittimi utilizzati per le importazioni in Europa o del tipo di energia utilizzata per le attività industriali (energia che in Cina è notoriamente poco green perché prodotta prevalentemente da fonti fossili). Il meccanismo, in definitiva, finisce per escludere dagli incentivi le auto cinesi e privilegia quelle di produzione europea.

Risultato? Sul mercato francese c’è stato un crollo delle vendite di vetture elettriche Made in China, come la MG4 o quelle di brand occidentali prodotte nella Repubblica Popolare, come Dacia Spring e Tesla Model 3. I suddetti tre modelli hanno rappresentato nel 2023 una quota del 24% sul mercato francese delle elettriche (con una punta del 32% a dicembre, per via di specifiche campagne promozionali). Coi nuovi incentivi “anti-Cina”, invece, la loro quota di mercato è collassata: 22% a gennaio, 14% a febbraio, 9% a marzo e 4% ad aprile. La strategia francese funziona, quindi, così come probabilmente funzionerebbe una di carattere europeo.

Tuttavia, le ritorsioni di Pechino sono dietro l’angolo e potrebbero essere altrettanto “potenti”, specie a danno dei costruttori tedeschi, che hanno forti interessi in Cina, contrariamente a quelli francesi e italiani, che su quel mercato (il più importante del mondo, con quasi 22 milioni di immatricolazioni nel 2023) sono meno consistenti. Il che – visti gli enormi interessi tedeschi in campo automotive – potrebbe rendere meno “fluida” l’adozione di dazi sui veicoli cinesi da parte della Ue. O, quantomeno, mitigarne il potenziale.

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