di Enza Plotino

Alle prossime elezioni europee ci sarà un convitato di pietra: l’industria delle armi che è riuscita, attraverso un’intensa attività di lobbying ad ottenere dall’Unione Europea fiumi di denaro per armare le guerre. In Italia, si fa a gara per ignorare la questione. Basta spulciare le liste elettorali dei partiti di sinistra (a destra le armi sono una risorsa non un problema), in vista delle elezioni europee di giugno per rendersi conto di quanto sia spinosa la parola pace, con un Pd che candida nelle proprie liste autorevoli e strenui difensori dello stop alle guerre, ma continua a votare a favore dell’invio di armi in Ucraina, e poche altre timide aperture nelle altre liste.

Solo Michele Santoro ha dato al rifiuto di tutte le guerre il rilievo che meriterebbe e con la sua lista ha fatto della pace il proprio manifesto politico-elettorale, denunciando le guerre come le peggiori catastrofi umanitarie e puntando il dito contro i governi che non riescono più a fermare i costruttori di armi (portatori di morte) che ormai hanno in mano, e nel portafoglio, le sorti del mondo.

Siamo nelle mani di un’industria mondiale che lucra sulla morte e nessuno riesce più a fermarla. Una lobby globale che si arricchisce mantenendo in piedi e foraggiando tutti i conflitti in corso. Le politiche europee oggi sono sempre più distanti dai progetti di pace del passato, proprio per avere messo al centro della strategia comune l’industria degli armamenti. Secondo il rapporto “Finanza di pace. Finanza di guerra” commissionato da Fondazione Finanza Etica (Gruppo Banca Etica) e dalla Global Alliance for Banking on Values (GABV), realizzato dalla Merian Research, “in tre anni oltre 959 miliardi di dollari sono stati usati dalle istituzioni finanziarie mondiali (per la metà americane) per sostenere la produzione e il commercio di armi”. Un intreccio di legami sempre più stretti con politici e istituzioni europee ha portato ad un aumento esponenziale dell’influenza delle lobby delle armi in questi ultimi anni, con la conseguenza di un sostegno europeo sempre più crescente alle “richieste” avanzate dall’industria militare, in particolare dal 2022, anno in cui è iniziata la guerra in Ucraina.

La Rete europea del disarmo ha contato tra il 2019 e il 2023 ben 536 incontri dei lobbisti delle armi con membri della Commissione europea. Il colosso aeronautico francese Airbus la fa da padrone, mentre l’italiana Leonardo è terza dopo Safran. Un meccanismo di “porte girevoli” poi, fa sì che l’industria bellica abbia sempre un proprio rappresentante nei governi di tutti i Paesi europei. In Francia, Thierry Breton, a capo della Direzione generale per l’industria della difesa e lo spazio (Dg Defis), è anche ex amministratore delegato della francese Atos (tecnologie militari). All’inverso, Jorge Domecq è passato dalla European Defence Agency a consulente del ramo militare di Airbus nel 2022. In Italia Guido Crosetto, prima di diventare ministro della Difesa, era presidente della Aiad (confederazione delle aziende italiane per l’aerospazio e la difesa), il gruppo di rappresentanza dei produttori di armi in Italia.

Questo sistema sta favorendo un riarmo crescente dei Paesi del Vecchio Continente che, “grazie” alle guerre che spirano dall’Est europeo e dal Medio Oriente corrono ad acquistare aerei da caccia, fregate, carri armati, missili, droni e avanzati sistemi bellici elettronici. E’ facile immaginare che per i mercanti di morte e i loro sostenitori, la diplomazia è una iattura, mentre i conflitti che infiammano il Medio Oriente lambendo l’Iran e estendendosi con i loro tentacoli di morte fino alle coste dello Yemen sul mar Rosso, gonfiano i fondi e i loro portafogli e rinvigoriscono i mercati mondiali.

Se noi cittadini europei non ci siamo già “fritti il cervello”, arrendendoci ad un futuro di morte, sosteniamo le proteste dei giovani e diamo una spinta alla risoluzione dei conflitti, votando i partiti che si dichiarano contrari alla guerra.

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