“Io so’ io”. È il titolo del nuovo saggio del giornalista Sergio Rizzo, che dopo il best seller La Casta scritto con Gian Antonio Stella, analizza sprechi e storture dei partiti politici italiani, ormai ridottisi a oliatissime macchine di potere e di clientela. Lo scrittore ha volutamente scelto una celebre frase pronunciata da Alberto Sordi nel film di Mario Monicelli, Il marchese del Grillo, a sua volta ripresa dal sonetto “Li soprani der monno vecchio” di Giuseppe Gioachino Belli (“C’era una vorta un Re cche ddar palazzo mannò ffora a li popoli st’editto: “Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo”, sori vassalli bbugiaroni, e zzitto”).

Ospite della trasmissione Uno, Nessuno, 100Milan, su Radio24, Rizzo spiega la scelta di quel titolo eloquente per dipingere il politico medio italiano. E lo fa prendendo spunto proprio dall’ultima sortita di Giorgia Meloni che, dopo la decisione di candidarsi in tutte le circoscrizioni come capolista alle europee, dalla platea di Fratelli d’Italia due giorni fa ha annunciato urbi et orbi: “Chiamatemi Giorgia, scrivete soltanto Giorgia sulla scheda elettorale. Io sono una del popolo”.
Appunto, io so’ io – commenta sarcasticamente Rizzo – È proprio il segno dei tempi questa ultima uscita della nostra presidente del Consiglio ed è coerente con la sua decisione per le elezioni europee, dove peraltro quasi tutti si candidano ma poi nessuno va al Parlamento europeo”.

Il giornalista pone l’accento sulla vera damnatio tutta italiana, il crescente astensionismo. E spiega: “Io ho fatto un conto e dalle elezioni politiche del 2018, vinte dal M5s, non c’è stata più una tornata elettorale in cui l’affluenza sia aumentata, ma al contrario è sempre diminuita. Tra l’altro, il 63,9% di affluenza alle ultime elezioni politiche è un dato falso perché non tiene conto del voto all’estero. Se si considera anche quest’ultimo dato, l’afluenza totale alle politiche del 2022 è stata del 60% – continua – A questo aggiungi l’aumento impressionante delle schede bianche e nulle: totalmente l’affluenza elettorale nel 2022 è stata del 58%. Quindi, siamo in una situazione molto delicata, senza dimenticare che l’Italia è un paese nel quale fino al 1979 andava a votare oltre il 90% dei cittadini e nel 2008 oltre l’80%”.
Rizzo cita poi l’ultimo libro del costituzionalista Michele Ainis, Capocrazia. Se il presidenzialismo ci manderà all’inferno, dove smonta il premierato e la riforma presidenziale voluta dal governo Meloni, menzionando le elezioni regionali per le quali l’affluenza è analogamente crollata.

“Il problema quindi si pone in termini democratici – sottolinea Rizzo – cioè la gente non va più a votare perché i partiti non hanno più credibilità. Adesso, in modo molto più smaccato di prima, chi conquista il potere attraverso le libere elezioni in Italia ritiene di essere il proprietario della cosa pubblica. Gianfranco Fini lo disse in tempi non sospetti: governare non è sinonimo di comandare, sono due cose completamente diverse. E invece oggi c’è un equivoco di fondo, e cioè che qui pensano che governare sia comandare – sottolinea – La dimostrazione è l’occupazione sistematica e quasi militare di tutte le poltrone pubbliche. Ho fatto un calcolo: sono centinaia. Sono stati dati posti apicali nelle società pubbliche a politici, loro amici e sodali, quasi come se l’investitura popolare ti desse il diritto di fare quello che vuoi”.

E aggiunge: “Non posso non notare che oggi ci sono forzature che vanno oltre quelle già brutte viste in passato. Io in vita mia non ho mai visto la convocazione di un direttore di giornale (Emiliano Fittipaldi, direttore di Domani, ndr) nella commissione parlamentare Antimafia dove è stato interrogato sulle fonti dei suoi giornalisti. Io una cosa del genere non l’ho mai vista, non è mai successo un fatto simile. E non solo: dal 2022 abbiamo due parlamentari condannati in via definitiva e nessuno fa una piega. Addirittura vengono pure invitati in televisione a farci la morale“.

Rizzo, infine, evidenzia che tutto questo non indigna più gli italiani a differenza dei tempi passati contro “la casta”: “La ragione di questa disaffezione andrebbe chiesta a qualche sociologo. C’è la sensazione di un paese narcotizzato, è come se questo andazzo della politica avesse in qualche modo assuefatto gli italiani. E nessuno ci fa caso. Ricordo che una volta, parlando con un collega tedesco, gli spiegai che da noi esisteva la Legge Severino, in base alla quale si può stare in Parlamento – continua – anche se si ha una condanna definitiva a pene inferiori a due anni di reclusione. Lui rimase sbalordito e mi chiese come fosse possibile. Abbiamo una Costituzione secondo cui chi riveste incarichi pubblici deve svolgerli con disciplina e onore e quella legge è in contraddizione enorme con questa cosa. E nessuno ha mai sollevato la questione, perchè anche se hai rubato poco, hai sempre rubato. E con quale diritto tu rappresenti il popolo?“.

E chiosa, facendo un nuovo riferimento alla presidente del Consiglio e alle sue parole pronunciate due giorno fa: “Quella frase del Marchese del Grillo che ho scelto per il titolo del mio libro è veramente un marchio indelebile. E la cosa grave è che i politici non lo capiscono. Dicono:’Io sono del popolo’. Ma perché gli altri non sono del popolo? E quale parte del popolo rappresentate?“.

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