Non abbiamo bisogno di un anniversario per parlare di Carmelo Bene (1937-2002), il più grande e controverso fra i protagonisti del nostro teatro nel secondo Novecento. E tuttavia una novità c’è ed è importante. Poche settimane fa, la direzione della struttura in cui è installato dal 2021 l’archivio Bene, a Lecce, ha annunciato la schedatura digitale di tutto il materiale raccolto, a cominciare dagli oltre cinquemila volumi. Una buonissima notizia non solo per gli studiosi ma per tutti gli appassionati di CB, che non sono pochi, nonostante il passare del tempo.

Alla fine degli anni Cinquanta, quella di Bene, in un Caligola di Camus ancora non suo, fu un’apparizione “anomala” e “folgorante” (aggettivi del critico Franco Quadri), che si ripropone e si conferma, nel giro di poco tempo, attraverso una serie ravvicinata di spettacoli disordinatamente e felicemente dissacratori, nei quali egli buttava all’aria, con tutta la necessaria irriverenza del caso, buona parte delle convenzioni ormai stantie della nostra scena. Fra gli altri: Spettacolo Majakovskij (1960), Pinocchio, Amleto e Caligola, stavolta con la sua regia (1961), un blasfemo Cristo ’63, subito bloccato dalla censura, Edoardo II e I Polacchi (Ubu roi), sempre del 1963, Salomé da Oscar Wilde nel 1964.

In questo esordio (misconosciuto o vituperato dai più, ma non sfuggito a osservatori attenti e curiosi del nuovo come Chiaromonte e De Feo, Flaiano e Arbasino), sono già riconoscibili – anche se non vi hanno ancora raggiunto ovviamente la misura migliore – tutte le componenti del successivo e più famoso teatro di CB: una recitazione fortemente deformata e “fisicizzata”, sulla base di una tavolozza sonora sui generis, fatta di grida, urli, acuti, sussurri, spezzature, borborigmi, ai quali sono associati dei movimenti eccessivi, ripetitivi e sincopati; un’incoercibile vocazione all’esibizionismo e allo scandalo (in scena e fuori); un gusto luciferino per la parodia e lo sberleffo, rivolti – come ebbe a precisare un altro osservatore molto attento, Mario Prosperi – non tanto contro i modelli drammaturgici e recitativi “antichi” (a cominciare dal teatro ottocentesco del Grande Attore) quanto piuttosto contro la loro novecentesca “degradazione a feticci di una cultura piccolo-borghese, provinciale e retorica”; una predilezione per il pastiche e la sintesi, che conferma il legame, del resto vistosamente esibito, con i futuristi italiani e, in particolare, con l’amatissimo Marinetti;
l’identificazione con Majakovskij, sorta di modello totale nel suo essere contro sia nell’arte che nella vita.

Ma più di tutto, e fin dal primo Caligola, emerge netta la preferenza per un teatro inteso come “monodramma soggettivo dell’attore-autore”, “spettacolo di se stesso” (ancora Prosperi). Già nella disordinata e ancora acerba fase iniziale, Bene si mostra costantemente fedele a questa inclinazione solistica, che trova la sua espressione più riuscita nell’”autobiografico” Nostra Signora dei Turchi, del 1966 (tratto dal romanzo omonimo e che diventerà anche un film nel 1968).

In conclusione, CB è, fin dall’esordio, fautore radicale di un teatro anti-rappresentazione e anti-interpretazione, secondo una linea di ricerca che si consoliderà nei decenni successivi, grazie a una sempre più consapevole esplorazione delle possibilità della voce, con l’aiuto di una sempre più sofisticata strumentazione tecnologica e l’adozione del playback. E sarà il teatro della phoné, come ebbe a chiamarla, con al centro la “stagione concertistica”: da Manfred a Egmond, passando per Hyperion e la Lectura Dantis bolognese. Ad esso farà seguito, con la ricerca sulla “macchina attoriale” fra anni Ottanta e Novanta, la definitiva liquidazione di ogni residuo di recitazione-interpretazione, nonché di ogni seduzione scenica, all’insegna del “depensamento” e dell’”oblio di sé”. Teatro assoluto dell’attore poeta, teatro senza spettacolo.

Per chi volesse approfondire la conoscenza di CB, oltre ai film, ai video e ai dischi, imprescindibile è il volume delle Opere (Bompiani). Fra gli studi critici recenti: Leonardo Mancini, Carmelo Bene: fonti della poetica, Mimesis, 2020; Armando Petrini, Carmelo Bene, Carocci, 2021; Gigi Livio, Sulle rovine del teatro ipse actor, Kaplan, 2022; Piergiorgio Giacchè, Nota Bene, Kurumuny, 2022.

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