È stato presentato stamattina a Roma il XX° Rapporto annuale di Antigone sulle carceri italiane. Il titolo non necessita spiegazioni: “Nodo alla gola”. Il lavoro, frutto di visite continue agli istituti di pena portate avanti lungo l’intero 2023 dall’associazione, fotografa una realtà sempre più allarmante. La stessa che drammaticamente ci sbattono in faccia gli almeno trenta suicidi che si sono registrati in carcere dall’inizio del nuovo anno. Almeno, in quanto per vari altri decessi non sono ancora del tutto chiare le cause. Un suicidio ogni tre giorni e mezzo. Nel 2022 – l’anno record nel quale come minimo 85 persone si tolsero la vita in carcere – a metà aprile se ne contavano venti.

In carcere si vive ammassati, con poco spazio a disposizione e soprattutto con poca probabilità che qualcuno sia messo nelle condizioni di intercettare la disperazione di chi vive dentro una cella. Dal Rapporto si evince come nel corso del 2023 il numero dei detenuti sia cresciuto a un ritmo medio di 331 unità al mese. Continuando di questo passo si raggiungeranno presto le cifre che nel 2013 valsero all’Italia la condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

I vari nuovi reati introdotti di recente per volontà governativa, l’aumento delle pene per alcuni reati già presenti, le pratiche di polizia improntate a un’idea di tolleranza zero, la tendenza della magistratura a comminare pene di maggiore lunghezza e a utilizzare con più difficoltà le alternative al carcere disponibili concorrono a tale crescita. Una crescita che non appare giustificata dai tassi di criminalità. L’ultimo decennio ha visto infatti un continuo decremento nel numero dei delitti denunciati all’autorità giudiziaria (cresciuto solamente durante il biennio 2020-2022, ma solo a causa del precedente crollo dei reati che si era registrato durante la pandemia). Dal primo gennaio al 31 luglio 2023 sono stati commessi in Italia 1.228.454 delitti, il 5,5% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Al 31 marzo 2024 erano 61.049 le persone detenute, per una capienza ufficiale pari a 51.178 posti, che scende di almeno 2.500 unità se si considerano i posti non disponibili a causa di manutenzioni. Il tasso reale di affollamento non è dunque inferiore al 125% sul territorio nazionale. Vale a dire che dove dovrebbero vivere cento detenuti ne troviamo invece centoventicinque. Ma singoli istituti lo superano enormemente. A Brescia Canton Monbello le presenze sono più del doppio del posti (209,3%). E non è un caso isolato, da nord a sud della penisola: a Lodi siamo 200%, a Foggia al 195,6%, a Taranto al 184,8%, a Roma Regina Coeli al 181,8%, a Varese al 179,2%, a Udine al 179%. Trentanove carceri hanno un tasso di affollamento superiore al 150%.

Inutile raccontare la frottola della costruzione di nuove strutture. Non c’è alcun piano di edilizia che tenga. I tempi medi di costruzione di un carcere si aggirano attorno ai dieci anni. Il costo medio per costruire un istituto di pena con quattrocento posti è di circa 30 milioni di euro. Servirebbero una quarantina di nuovi istituti, per il costo di un miliardo e 200 milioni di euro. Senza contare i fondi per l’assunzione del nuovo personale, che si aggirerebbero attorno a ulteriori quattro miliardi annui.

La storia ci ha insegnato che più posti si creano e più facilmente li si riempiono. L’unica vera soluzione in un Paese democratico è quella di usare il carcere con la parsimonia che una pena come la privazione della libertà merita. Nelle carceri italiane troviamo invece oltre 22mila persone cui restano da scontare meno di tre anni. Sicuramente una parte di loro che non ha ostacoli legali potrebbe usufruire di una misura alternativa alla detenzione, con beneficio del tasso di affollamento ma non solo. Chi è in misura alternativa costa infatti allo Stato in media 50 euro al giorno, mentre chi è in carcere ne costa invece circa tre volte tanto. Ne guadagna inoltre la sicurezza collettiva: chi ha fruito di misure alternative presenta un tasso di recidiva tre volte inferiore a chi ha scontato per intero la pena in carcere.

Oltre 20.500 persone si trovano in carcere per reati connessi alla droga. Sono in crescita: tra il 2022 e il 2023 si è avuto un incremento del 6,35%. La scelta governativa di aumentare le pene per i reati cosiddetti di lieve entità, che riguardano magari persone tossicodipendenti coinvolte solo occasionalmente con il piccolo spaccio, aumenterà sempre più l’affollamento delle prigioni italiane. E sempre meno, di conseguenza, le istituzioni saranno pronte a intercettare quella disperazione dalla quale eravamo partiti, quella che ha portato tante persone a decidere di farla finita, in un momento di solitudine e di sconforto che costerà una vita.

Il Rapporto di Antigone contiene uno specifico dossier che documenta i suicidi avvenuti nelle carceri. In carcere ci si uccide 18 volte più che fuori. Tra il 2023 e i primi mesi del 2024 sono stati in cento a togliersi la vita in cella. Dalle biografie emergono situazioni di grande marginalità. Molte erano le persone di origine straniera, una percentuale ben superiore a quella della loro presenza in carcere. Molte anche le situazioni di patologie psichiatriche. Alcuni avevano un passato di tossicodipendenza. Altri dormivano per strada. Spesso si tratta giovani, di giovanissimi. L’età media di questi cento suicidi è di 40 anni, la fascia più rappresentata è quella tra i 30 e i 39 anni. Il più giovane in assoluto era un ragazzo detenuto nel carcere di Teramo solo da pochi giorni. Si è ucciso il 13 marzo 2024, il giorno del suo ventunesimo compleanno. Il più anziano aveva 66 anni e si trovava da meno di un mese nel carcere di Imperia.

In molti si sono tolti la vita mentre erano ancora in attesa di giudizio, spesso pochissimi giorni dopo aver fatto ingresso in galera. L’impatto è traumatico, l’attenzione ai primi giorni di detenzione dovrebbe essere altissima. Più difficile è capire il sentimento di coloro che hanno scelto di uccidersi a pochi giorni dall’uscita. Se ne contano almeno quattordici, con una pena residua breve o prossimi a richiedere una misura alternativa. Il rientro in società fa paura. A persone che non hanno nulla e che forse, con un po’ di sostegno sociale, in carcere non sarebbero neanche dovute entrare.

Articolo Precedente

Milano, inferno Beccaria: violenze sui minori detenuti e false relazioni degli agenti. Il gip: “Tortura” diventata “sistema”

next