di Michele Canalini

La necessità di accorpare molte scuole è imposta, come si sa, dalle esigenze finanziarie delle recenti leggi di bilancio. Eppure, invece che stringere, occorrerebbe estendere, coltivare, seminare sempre di più. O, meglio ancora, mettere a dimora nuovi istituti educativi, come se fossero alberi: infatti, se questi ultimi si radicano in profondità, contrastando i fenomeni erosivi e trattenendo le acque in caso di calamità alluvionali, le scuole si radicano nel territorio come presidi di legalità perché contrastano i fenomeni dispersivi e devianti della nostra società.

Proprio a tal proposito è quanto mai opportuno parlare oggi di una “ecologia della scuola”. L’istruzione diffusa serve per sostenere il bisogno di conforto di generazioni di giovani sempre più preoccupate perché costrette a fronteggiarsi con le nuove ansie del nostro millennio. Allo stesso modo, l’educazione popolare del dopoguerra è servita per ricucire un tessuto sociale lacerato da un mezzo secolo di conflitti.

Per questo sarebbe quanto mai desiderabile una rivoluzionaria “manovra” di innesti di nuove piante scolastiche, che siano solide come abeti e robuste come querce ma non per questo meno bisognose di cure. Anzi, una nuova e auspicata piantumazione scolastica richiederebbe un’immersione nell’ambiente naturale tout court. Nuovi edifici scolastici in ecosistemi non inquinati da eccessive modificazioni antropiche avrebbero il vantaggio di reintrodurre alcune pratiche di cura che siano in grado di coniugare nello stesso spazio l’ecologia psichica, sociale e quella ambientale.

Per fare un esempio, quanto cambia fare una passeggiata all’aperto in un contesto urbano fortemente trafficato o fare la stessa passeggiata in mezzo al verde? La semplice passeggiata, poi, agli occhi del lettore non deve apparire come un’attività perditempo perché spesso si rivela come un momento didattico importante per il benessere degli allievi o di qualsiasi abitante del nostro pianeta. Appunto nel nome di quell’ecologia scolastica che si riconosce nell’ecologia psichica e nell’ecologia economica.

Dunque, fare qualcosa di bello per l’ambiente non ha il solo obiettivo di tutelarlo ma si presenta come azione finalizzata al benessere degli allievi, degli individui e della società in generale. In tal modo si accentuerebbe la lotta alle disuguaglianze economiche e si garantirebbe la presenza in un territorio di una scuola come luogo sicuro dove rifugiarsi, a fronte delle eco-ansie e di quella solastalgia, ovvero il trauma vissuto da chi ha subito gli impatti devastanti di una tragedia naturale, per colpe però umane.

Scuole e alberi, per ricercare ciò che è sublime nell’esistenza e mostrarlo agli altri. Dunque, è un perfetto binomio per una vita profonda di cui “succhiare tutto il midollo per vivere da gagliardo spartano, per sbaragliare ciò che vita non era, falciare ampio e raso terra e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici”, come scrisse Henry David Thoreau, in “Walden” a metà dell’Ottocento.
E in quell’angolo lì, dove riporre la vita, oggi c’è anche la scuola.

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