Prima Orsk, poi Orenburg e presto forse anche Tomsk. La Russia è sommersa, divorata dai suoi fiumi. A causa di alluvioni e scioglimento dei ghiacci, nella Federazione, i bilanci di questo aprile non ancora finito sono già drammatici: 156mila le case e 28mila i campi sott’acqua in 193 città di 33 regioni. Due giorni fa è collassata parzialmente anche la diga della regione di Tomsk, dell’omonima città universitaria, fiore all’occhiello siberiano del sistema educativo russo. Colpevole della distruzione è il fiume Tom, una lingua d’acqua possente che scorre per 827 chilometri e che si sta pericolosamente avvicinando ai 9 metri d’altezza. A dirlo il sindaco della città Dmitry Makhinya, mentre venivano salvati i residenti di duecento case inondate dall’acqua. Non solo il Tom: è colpevole pure la primavera, che ha sciolto velocemente il ghiaccio che ricopre le terre orientali di Mosca, che per la maggior parte dell’anno vivono sotto zero. La Siberia straripa. Il regno del gelo, ogni estate, sempre di più e sempre più in fretta, si scioglie.

Intanto negli Urali continuano a suonare le sirene come in zona di guerra. “La natura non tollera errori”. “Per le inondazioni, la situazione può peggiorare rapidamente” ha detto Aleksandr Kurenkov, ministro delle Emergenze russo, mentre su una barchetta attraversava la città sommersa di Orsk, Urali meridionali, non lontano dal confine kazako. Il filmato lo mostra mentre naviga intorno a case rimaste congelate in un’altra epoca, interi quartieri d’architettura sovietica ormai fantasma; completamente sommersi i palazzi fino a primi piani. Se a Orsk abitano 200mila persone, a Orenburg ne abita oltre mezzo milione e il livello dell’acqua è salito di 28 centimetri nelle scorse settimane. Le autorità sanno che non finirà, la situazione peggiora.

Ricostruire tutto, hanno già stimato a Mosca, costerà oltre 21 miliardi di rubli, oltre duecento milioni di euro. Il governatore di Orenburg, Denis Pasler, fornirà solo 20mila rubli alle vittime dell’alluvione e 100mila ai proprietari delle case ormai distrutte, a prescindere dal volume ed estensione del danno subito, per un’emergenza che facilmente si poteva prevedere. O, quantomeno, arginare, dato il peggioramento dell’ecosistema russo a causa dalle alte temperature. Molteplici le ragioni del disastro: depositi di ghiaccio che si sciolgono mentre il terreno, ancora ghiacciato in questo periodo dell’anno, non riesce ad assorbirli, e, parallelamente, i fiumi che si ingrossano per lo sciogliersi delle calotte. “La cosa terribile è che non è finita”: “il diluvio catastrofico”, scrive il giornale Lenta, che ha “affondato” 12mila case nella regione di Orenburg, continuerà. Anche se il fiume si è parzialmente ritirato, alcune zone rimangono sommerse.

L’emergenza federale in Russia è stata dichiarata a inizio aprile. Le immagini satellitari sono di un colore solo: verde, d’acqua e foreste, nulla più rimane a galla. A peggiorare la situazione la carenza di membri delle forze di sicurezza: molti sono stati spediti al fronte e non sono stati rimpiazzati nel controllo delle infrastrutture. Una catastrofe storica di questa portata non se l’aspettavano al Cremlino e nemmeno i cittadini, in alcuni casi costretti all’evacuazione forzata. Mosca parla di “anomalie naturali” e si prepara a vedere altre mappe della sua Federazione sommerse dalle alluvioni, mentre evacuazioni ora si organizzano in alcune aree nella regione di Kurgan e Tyumen. C’è guerra e guerra e non c’è solo la guerra contro Kiev. Quella contro il cambiamento climatico la stanno perdendo tutti, specialmente i russi, dove l’innalzamento delle temperature procede due volte più veloce, a certe latitudini artiche, rispetto al resto del mondo.

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