“Per fare un tavolo ci vuole un fiore”, ve la ricordate? Ecco, parafrasando, dico: per fare la pace ci vuole un referendum pan-europeo.

Intanto: la pace, punto di partenza e di arrivo del ragionamento, come il “tavolo” di quella canzone. Una Unione Europea incapace di pace dentro e fuori i propri confini è semplicemente il fallimento dell’idea stessa di Europa generata dall’orrore delle grandi guerre del ‘900, con tutto il loro corredo di violenza, totalitarismo e collasso di tante pallide democrazie. Una Unione Europea che sdogani l’antico motto “Si vis pacem para bellum”, che si ri-abitui alla guerra come normale strumento di governo delle cose e corra senz’altro ad armarsi, tradisce l’enorme sforzo che fu compiuto da quei sopravvissuti per sotterrare con i morti anche il bisogno di vendetta, tanto da costruire convivenza con i propri acerrimi nemici. Uno sforzo del quale evidentemente non siamo più capaci perché non abbiamo vissuto sulla pelle simili tragedie (d’altra parte abbiamo un Ministro dell’Interno che accusa chi parte con i barconi alla volta dell’Europa di scarso senso di responsabilità).

Ma non potrà mai più esserci un’Europa capace di pace senza giustizia sociale, il “legno” della canzone. La giustizia sociale è quella cosa per la quale chi nasce in condizioni di svantaggio incontra, proprio grazie alle Istituzioni, opportunità di riscatto, di realizzazione personale e collettiva (scuola, casa, sanità, lavoro, ambiente, mobilità). Cosa c’entra la giustizia sociale con la pace? Se c’è giustizia sociale si allarga la platea dei cittadini consapevoli che possono dire la propria liberamente, organizzandosi efficacemente, invece se non c’è giustizia sociale ad allargarsi è il divario tra l’élite che sa, parla, decide e la massa di impoveriti che resta disorientata, muta, schiacciata dalla necessità. Alle élite la guerra è sempre piaciuta, perché la fanno fare ai poveri.

Ma non potrà esserci in Europa questa giustizia sociale senza giustizia fiscale, “l’albero” della canzone. La giustizia fiscale è quella cosa per la quale tutti i cittadini europei e tutti i soggetti economici che fanno affari in Europa contribuiscono secondo principi di equità e progressività alla spesa pubblica. Ma questa cosa non potrà mai succedere senza l’armonizzazione tra i sistemi fiscali europei, che oggi legalmente gareggiano l’uno contro l’altro per soffiarsi i “clienti” più facoltosi e senza un radicale contrasto ad ogni forma di elusione fiscale e di evasione fiscale.

Ma non potrà farsi questa giustizia fiscale in Europa senza una Costituzione federale, il “seme” della canzone. La Costituzione federale è quella cosa per la quale l’Unione europea smette di essere un condominio di Stati nazionali litigiosi e spesso in competizione e diventa un soggetto politico unitario e indivisibile, fondato su uguali diritti e uguali doveri, recuperando almeno un po’ del coraggio e della lungimiranza con cui si misero a fattor comune acciaio e carbone negli anni ’50 del secolo scorso.

Ma non avremo mai una Costituzione federale senza che il Parlamento europeo, forte della sua originaria legittimazione universale, derivata dalla diretta manifestazione di volontà politica da parte dei cittadini europei, decida di fare della X Legislatura una Legislatura costituente, il “frutto” della canzone. Una Legislatura costituente è prima di tutto un atteggiamento politico: l’atteggiamento di chi rivendichi la centralità del Parlamento europeo nel processo di superamento della attuale configurazione istituzionale della Unione Europea, rispetto al ruolo di Consiglio e Commissione che fatalmente riflettono le volontà degli Stati membri.

Ma una Legislatura costituente che pure riuscisse con successo a guidare un simile processo non potrebbe sperare di vedere “vivere” la nuova Europa federale senza affrontare la sfida di un referendum pan-europeo, il “fiore” della canzone. Bisognerà infatti che il popolo europeo, che si manifesta nel momento in cui elegge a suffragio universale i propri rappresentanti parlamentari, venga nuovamente evocato nel momento in cui da questi ricevesse la proposta del nuovo patto di convivenza, evitando così che proprio questo apicale esercizio di democrazia sia risucchiato dalle dinamiche nazionali attraverso referendum confermativi organizzati Stato per Stato. Come avvenne nel 2005 con i risultati infausti che ricordiamo.

Insomma: per fare la Pace, ci vuole un referendum pan-europeo!

Diversamente il rischio sempre più evidente è quello di assistere all’implosione della casa comune europea a colpi di Qatar-gate, Mosca-gate, Pfizer-gate tanto utili a coloro che, scommettendo sulla perdita di credibilità delle istituzioni comunitarie, affilano gli artigli arrugginiti delle identità nazionalistiche, che portano non fiori, frutti, semi, alberi e tavoli, ma guerra, guerra e ancora guerra.

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