Le intercettazioni sono fondamentali per questi tipi di reati, altrimenti non si riuscirebbero a ricostruire organizzazioni di questa vastità operanti in Europa. Averlo fatto costituisce un bell’esempio di collaborazione a tutela dei soldi pubblici e dei fondi europei”. Calibra le parole Andrea Venegoni, procuratore europeo di Eppo (European Public Prosecutor’s Office), la Procura che persegue i reati che ledono gli interessi finanziari della Ue. Eppure le dichiarazioni sono chiarissime, non si potrebbe scoprire un’associazione per delinquere che opera sul territorio del Vecchio Continente, mette a segno frodi internazionali e truffe per 600 milioni di euro, lucra sui soldi del Pnrr e ricicla denaro in case, gioielli e auto di lusso, senza poter utilizzare gli strumenti previsti, per il momento, dal codice di procedura penale italiano. Ovvero i trojan per i cellulari, i microfoni per le intercettazioni ambientali e, soprattutto, le sofisticate tecnologie che consentono di entrare nei sistemi informatici delle bande in doppio petto.

Paese che vai, ordinamento che trovi – Dall’altra parte si servono di tutti i meccanismi possibili per nascondere traffici di dati e comunicazioni. I “maghi” dell’informatica utilizzano anche l’Intelligenza Artificiale per manomettere bilanci, apporre firme apocrife, inserire documenti all’ultimo momento a sostegno delle richieste di finanziamenti. “Non esistendo una normativa europea unica in materia di intercettazioni – ha spiegato il procuratore Venegoni durante una conferenza stampa nella sede della guardia di Finanza di Venezia – ogni Stato che svolge indagini penali applica la normativa nazionale. E quindi il codice di procedura che abbiamo utilizzato è quello italiano, che ci ha consentito di effettuare le intercettazioni e scoprire questa frode ai danni dell’Unione Europea”. Nel caso di indagini estese a diversi paesi si crea un problema di applicazione di normative differenti. “Sul tema delle intercettazioni quando un paese richiede determinati interventi si cerca la norma più simile nell’ordinamento del paese a cui viene rivolta la richiesta, in modo da autorizzare quel tipo di indagini”.

L’indagine e gli arresti – L’operazione è stata condotta dal Comando provinciale della Finanza di Venezia e dal Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie, con il supporto dello Scico e del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche. È stata eseguita un’ordinanza con 24 misure cautelari personali, di cui 8 in carcere, 14 arresti domiciliari e 2 interdittive a svolgere attività professionale e commerciale, nonché sequestri per 600 milioni di euro. Il provvedimento è della giudice per le indagini preliminari di Roma Mara Mattioli, su richiesta di Donata Patricia Costa, procuratore europeo delegato dell’Ufficio di Venezia. Sono state coinvolte, attraverso i canali di cooperazione giudiziaria di Eppo, forze di polizia slovacche, rumene e austriache. In Italia i finanzieri hanno eseguito arresti e perquisizioni in Veneto, Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Campania e Puglia.

La coppia italiana e la cittadina ucraina – Al vertice dell’organizzazione c’è una coppia composta da un altoatesino residente nel Veronese e una cittadina ucraina, che sono stati bloccati mentre dalla Slovacchia stavano andando in un aeroporto austriaco per andare in vacanza in Grecia. C’è poi un italiano residente in Veneto, accusato di aver fornito le competenze tecnologiche per presentare progetti fasulli e incassare denaro. Il quadro è completato da prestanome di società e professionisti. Tra questi ultimi un notaio di Avellino e tre commercialisti di Lombardia, Puglia e Veneto (uno di Jesolo è stato solo interdetto dall’esercizio della professione). I sequestri hanno riguardato auto di lusso (Lamborghini Urus, Porsche Panamera, Audi Q8), oltre ad appartamenti e altre proprietà immobiliari. somme in criptovalute, orologi di alta fascia (Rolex), gioielli (Cartier) e oro. Inoltre ci sono i 600 milioni di crediti vantati nei confronti dell’amministrazione pubblica.

I bandi del Pnrr – La trama della frode è stata illustrata dal comandante provinciale, generale Giovanni Salerno, e dai colonnelli Fabio Dametto, Andrea Pecorari e Marco Stella. Il meccanismo utilizzava i bandi per finanziamenti con fondi Pnrr, in particolare quelli destinati alla digitalizzazione e innovazione del sistema produttivo erogati a piccole e medie aziende da Simest, una società partecipata da Cassa Deposito e Prestiti, con lo scopo di favorirne l’internazionalizzazione. Sono state scoperte un paio di aziende venete, all’origine dell’inchiesta, che chiedevano un finanziamento massimo di 300mila euro per progetti di innovazione, dietro presentazione dei bilanci degli ultimi due anni, come richiesto dal bando. Subito incassavano la metà della somma (senza controlli sostanziali, ma solo formali e con modalità automatica), mentre la parte restante sarebbe stata liquidata a saldo. Si trattava di società fasulle, con bilanci inesistenti e risultanti solo dalla documentazione inserita dai richiedenti nel portale di Simest. In realtà non c’era alcuna attività economica, si trattava di scatole vuote.

“Riciclaggio avanzato” – Le indagini hanno fatto emergere come l’organizzazione, utilizzando spesso le stesse società, avesse anche creato crediti inesistenti nel settore edilizio (bonus facciate) e per il sostegno della capitalizzazione delle imprese (Ace). È sommando tutte queste voci che si arriva alla somma di 600 milioni di euro, per i quali è stato chiesto e ottenuto il sequestro. Le Fiamme Gialle hanno percorso i movimenti di denaro (la tecnica del “follow the money”), arrivando a contestare riciclaggio e autoriciclaggio attraverso una rete di società fittizie create ad arte in Austria, Slovacchia e Romania, per far sparire il denaro. Oltre alle intercettazioni e agli accessi informatici, sono stati utilizzati come fonte di prova acquisizione di documenti e accessi bancari.

“A valle di questi processi – ha spiegato il colonnello Dametto, comandante del Nucleo di polizia economica finanziaria – si è sviluppato un raffinato apparato di riciclaggio, agevolato anche dall’utilizzo di tecnologie avanzate. Ad esempio Virtual Private Network, server cloud dislocati in Paesi poco collaborativi, crypto asset, specifici software di intelligenza artificiale per aumentare la velocità di produzione dei documenti falsi”.

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