Usare il “femminile sovraesteso” quando si parla al plurale di un gruppo di persone e non il maschile. E non solo: usare le cariche declinate al femminile per indicare i ruoli di riferimento, a prescindere da chi li ricopre. La scelta, messa nero su bianco in una comunicazione ufficiale, è dell’Università di Trento. Il rettore Flavio Deflorian lo ha annunciato il 28 marzo scorso con una comunicazione pubblicata sul sito: il Regolamento generale di ateneo, per la prima volta, è stato redatto con questa regola. Recita l’incipit: “I termini femminili usati in questo testo si riferiscono a tutte le persone“.

A spiegare le ragioni della scelta, presa unanimamente dal Consiglio d’amministrazione, è stato lo stesso Deflorian: “Nella stesura del nuovo Regolamento”, ha detto nei giorni scorsi, “abbiamo notato che accordarsi alle linee guida sul linguaggio rispettoso avrebbe appesantito molto tutto il documento. In vari passaggi infatti si sarebbe dovuto specificare i termini sia al femminile, sia al maschile. Così, per rendere tutto più fluido e per facilitare la fase di confronto interno, i nostri uffici amministrativi hanno deciso di lavorare a una bozza declinata su un unico genere“. Deflorian ha quindi rivendicato la decisione di passare al “femminile sovraesteso” come scelta consapevole per garantire una maggiore rappresentazione: “Hanno scelto quello femminile, anche per mantenere all’attenzione degli organi di governo la questione. Leggere il documento mi ha colpito. Come uomo mi sono sentito escluso. Questo mi ha fatto molto riflettere sulla sensazione che possono avere le donne quotidianamente quando non si vedono rappresentate nei documenti ufficiali. Così ho proposto di dare, almeno in questo importante documento, un segnale di discontinuità. Una decisione che è stata accolta senza obiezioni”. Nella comunicazione si specifica che i termini come “la presidente, la rettrice, la segretaria” o “le professoresse” sono “citati e ripetuti più volte in riferimento a tutte le persone a prescindere dal genere, nelle quasi cinquanta pagine che compongono il nuovo Regolamento di Ateneo”.

Come raccontato da ilfattoquotidiano.it, la ricerca e il mondo dell’università in Italia è ancora dominato dagli uomini: le donne sono escluse dalle governance e sono caricate di lavori di cura anche in ateneo. Lavorare sul linguaggio può essere un primo piccolissimo passo, almeno di consapevolezza del problema. Ma non tutti sono d’accordo. La scelta è stata accolta con grande freddezza dalla ministra dell’Università Anna Maria Bernini. “Non posso che rispettare la decisione”, ha detto intervendo a Radio24. “è però importante che sul tema delle pari opportunità non ci si concentri solo sui fattori lessicali. Servono fatti concreti. E’ importante lavorare sul rispetto delle parità di genere in ambito universitario, ad esempio finanziando centri anti-violenza”. Molto più dura la maggioranza di centrodestra: è “demagogia pure” per Fratelli d’Italia, mentre per il Carroccio è “una scelta ridicola”. A favore invece si è espressa Julia Unterberger, presidente del Gruppo per le autonomie in Senato: “In Italia di solito il femminile viene usato per i ruoli e le professioni più umili”, ha detto, “mai per i ruoli di potere e le posizioni apicali. Ha ragione il rettore nel rivendicare il valore simbolico della proposta: un’inversione linguistica per far comprendere a tutti il senso di subalternità ed esclusione che la lingua può generare”.

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