Donald Trump è davanti a Joe Biden in molti dei sondaggi sulle presidenziali 2024. In termini di raccolta fondi, la situazione è però capovolta. Il candidato democratico ha concluso il mese di febbraio con 71 milioni di dollari sul conto principale che finanzia la sua campagna elettorale. Il repubblicano dispone invece di 33.5 milioni in contanti. La distanza tra i due si è allargata rispetto a fine gennaio, quando Biden aveva sul conto 56 milioni di dollari, rispetto ai 30.5 milioni di Trump. I dati sono parziali. Bisognerà infatti aspettare metà aprile per conoscere l’apporto finanziario dei vari comitati politici che finanziano i candidati. Ma si tratta comunque di un campanello d’allarme che i repubblicani non possono trascurare. Non necessariamente i soldi fanno vincere un’elezione. Nel 2016, Hillary Clinton spese il doppio di Trump, e sappiamo com’è finita. I soldi però aiutano sicuramente a far vincere le elezioni. Le presidenziali 2020, record nella storia Usa, costarono complessivamente 5,7 miliardi di dollari. Quelle del 2024 andranno ben oltre. Senza soldi, molti soldi, il risultato politico è quindi a rischio.

Secondo i dati della Federal Election Commission, nel mese di febbraio Trump è stato capace di raccogliere più finanziamenti rispetto al mese precedente: 15.9 milioni, contro i 13.8 di gennaio. Biden ha però fatto molto meglio, aggiungendo al suo conto, nel mese di febbraio, 21.3 milioni di dollari. Se si sommano questi a quelli raccolti dal Democratic National Committee, si arriva a 53 milioni. Complessivamente, tra il conto corrente della campagna di Biden e quello dei democratici, si arriva a 155 milioni di dollari. Trump e i repubblicani sono fermi a circa 50 milioni, un terzo rispetto ai rivali. Si spiega così la foga con cui proprio l’ex presidente ha chiesto per settimane l’uscita di scena di Nikki Haley e la fine delle primarie repubblicane. Haley continuava a drenare risorse da importanti finanziatori, proprio nel momento in cui Trump aveva disperatamente bisogno di soldi.

Dopo il ritiro di Haley, Trump, il suo team, il Republican National Committee (diretto da un paio di settimane da due fedelissimi del tycoon, Michael Whatley e Lara Trump), i vari Super PAC – gruppi che raccolgono somme di denaro illimitate per i candidati – possono finalmente mettersi al lavoro per cercare almeno di ridurre il gap con i democratici. Trump in persona dedica almeno tre cene a settimana alla raccolta fondi nella sua residenza di Mar-a-Lago. Nei giorni scorsi sono stati suoi ospiti Larry Ellison, il miliardario co-fondatore di Oracle, e Pepe Fanjul, magnate dello zucchero. Il 6 aprile un altro miliardario attivo negli hedge fund, John Paulson, ha organizzato un evento a favore di Trump a Palm Beach. Oltre 50 gli invitati. Ogni posto a tavola costerà 814.600 dollari. Tra gli invitati, esponenti della finanza come Rebekah e Robert Mercer, il magnate degli hotel, Robert Bigelow (che ha appena donato a Trump 5 milioni di dollari), l’imprenditore edile di Las Vegas Steve Wynn.

Una buona notizia, per Trump, non viene solo dalle adesioni alla sua campagna di buona parte di Wall Street e del mondo dell’edilizia. Il candidato repubblicano può infatti contare su una base entusiastica che negli swing states, almeno sinora, gli dà un certo vantaggio su Biden. Questa base – eminentemente popolare, fatta soprattutto di uomini e donne senza titolo di studio universitario, “meccanici, guidatori di camion”, ha scritto Bloomberg, ma anche operai, più o meno sindacalizzati – ha già aiutato Trump. Piccoli contributi di questo tipo hanno rappresentato il 49 per cento della raccolta fondi totale dell’ex presidente nel 2020 – contro il 39 per cento di Biden, che pesca soprattutto in un mondo di professionisti: professori, medici, avvocati, programmatori di computer. Detto questo, è chiaro a tutti che il candidato repubblicano ha un problema di finanziamento della campagna che deve essere assolutamente risolto, se si vuole competere alla pari con i democratici il 5 novembre.

Sono del resto due i problemi che frenano il fundraising di Trump. Da un lato, molti tra i maggiori donatori temono di essere associati a un personaggio controverso e imprevedibile come Trump. Preferiscono dunque far affluire i loro soldi o ai Super PAC, che poi a loro volta sostengono il candidato e specifiche campagne politiche, oppure direttamente a chi è in corsa per la rielezione a Camera e Senato. Dall’altro, molti donatori sono spaventati dall’idea delle spese legali di Trump. Temono cioè che i loro soldi finiscano non a finanziare la campagna presidenziale, ma a pagare le parcelle degli avvocati che lavorano per il tycoon. Trump ha già speso 64 milioni di dollari in avvocati e ha quasi esaurito i fondi a sua disposizione (tra l’atro, ci sono di mezzo anche le cauzioni da pagare nei processi che lo coinvolgono, in particolare quello per diffamazione nei confronti della donna che lo accusa di aggressione sessuale, la scrittrice E. Jean Carroll, e quello a New York sul valore sovrastimato dei suoi beni immobiliari). Quando Trump non avrà più soldi, dovrà rivolgersi o al partito, i cui dirigenti hanno già detto che non vogliono pagare, o a ricchi donatori, che non sono certo entusiasti di salvare Trump dalla giustizia Usa. In ogni modo, tutta la vicenda ha avuto sicuramente l’effetto di rallentare le operazioni di fundraising per il candidato repubblicano alla presidenza.

Trump sa del resto che, nel 2024, dovrà assolutamente poter contare su fondi elettorali consistenti. Non è più il 2016, quando l’allora rivale di Hillary Clinton poté godere di un’ampia copertura mediatica. Trump faceva notizia per ogni cosa che diceva e faceva, soprattutto per quelle più esplosive. I maggiori network gli dedicavano ampio spazio, anche perché era opinione comune che non avesse alcuna possibilità di vittoria. Già nel 2020 le cose sono cambiate e nei prossimi mesi questo tipo di copertura sarà probabilmente ancora minore, in particolare per quanto riguarda le affermazioni più radicali ed estreme, quelle relative a elezioni manipolate, “stagno di Washington” da ripulire e insurrezioni varie. Al contrario, molti media Usa daranno particolare evidenza alle accuse e ai processi che coinvolgono Trump. Il risultato è comunque uno. La sua informazione elettorale, Trump, se la dovrà pagare da solo. Senza contare che Biden è l’incumbent, il candidato uscente, e quindi ogni sua uscita presidenziale (comprese quelle della vicepresidente Kamala Harris) è anche occasione di campagna elettorale e viene comunque raccontata dai media USA grandi e piccoli.

Se Trump appare in difficoltà, pure Biden ha comunque qualche ragione di preoccupazione. “American Values 2024”, un Super PAC che sostiene Robert Kennedy Jr., ha speso in febbraio 8.8 milioni di dollari in pubblicità elettorale a favore dell’avvocato e attivista. L’investimento più consistente è avvenuto la notte del Super Bowl, quando è andato in onda su CBS uno spot elettorale che mostrava immagini della campagna elettorale di John Fitzgerald Kennedy, lo zio, nel 1960. Molti dei soldi della campagna di Kennedy vengono da Gavin de Becker, executive di una società che si occupa della sicurezza. Altri 950mila dollari verranno spesi da Kennedy in Stati in cui cerca di essere presente sulle schede elettorali il 5 novembre. È difficile valutare quanto Kennedy possa togliere a Biden. Certo è che settori non piccoli del mondo ambientalista potrebbero essere attratti dal suo messaggio, facendo convergere su di lui voti e finanziamenti.

TRUMP POWER

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