Si fa sempre fragile la stabilità anche sul fronte Nord di Israele. L’esercito dello Stato ebraico è tornato a colpire Hezbollah in Libano e anche in Siria, con un raid ad Aleppo che ha provocato 42 morti: l’attacco più pesante degli ultimi tre anni, è stato definito dall’Osservatorio siriano per i diritti umani. Non è affatto un caso: tra le vittime c’erano 6 appartenenti degli Hezbollah, l’organizzazione paramilitare islamica radicata in particolare in Libano, e tra questi anche un alto ufficiale. Mentre il conflitto a Gaza continua a far sentire i suoi effetti in tutto il Medio Oriente, crescono i timori di un ulteriore allargamento del conflitto. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha annunciato che Israele “estenderà la sua offensiva al nord e aumenterà gli attacchi” contro gli Hezbollah. Gallant ha aggiunto che l’azione di Israele “sta diventano più offensiva che difensiva e arriveremo ovunque Hezbollah si trovino. Beirut, Baalbek, Tiro, Sidone e per tutta la lunghezza del confine: e in posti più lontani, come Damasco“. Dichiarazioni arrivate nel giorno in cui il presidente Usa Joe Biden ha detto che gli Stati arabi sarebbero “pronti a riconoscere pienamente Israele per la prima volta” a certe condizioni. Gli innumerevoli attacchi e contrattacchi tra la parte settentrionale della Galilea e quella meridionale del Libano – bombardamenti contro lanci di razzi e missili – sembrano sul punto, ogni giorno, di lasciare lo spazio alla tanto citata e temuta guerra aperta, in un’area in cui sono presenti oltre 10mila caschi blu, tra i quali circa mille italiani, che ieri hanno ricevuto la visita della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

“Siamo seriamente preoccupati per l’aumento di violenza a ridosso della Linea Blu”, afferma all’agenzia Ansa Andrea Tenenti, portavoce di tutta la missione Onu presente in Libano dal 1978. Da giorni c’è stata una recrudescenza dei bombardamenti israeliani, a cui gli Hezbollah e altri gruppi armati hanno risposto con lanci di razzi e di missili. “Questa escalation ha causato un alto numero di morti tra i civili, oltre alla distruzione delle abitazioni e delle fonti di sostentamento” aggiunge Tenenti nella base Unifil di Naqura, a due passi dalla Linea Blu. “Siamo molto preoccupati sia per il presente che per il futuro” dice sempre all’Ansa Hasan Dabuk, presidente dell’Unione delle municipalità di Tiro, che si trova sul mare e tra i grandi centri è il più vicino al confine con Israele. “L’economia della nostra zona è devastata come le case dei nostri villaggi”, afferma Dabuk. Racconta l’inviato dell’agenzia di stampa Lorenzo Trombetta che i paesini lungo la Linea Blu sembrano travolti da un terremoto: interi quartieri rasi al suolo, cumuli di macerie ovunque, gli oliveti, i bananeti, le piantagioni di tabacco incendiati dalle bombe al fosforo e da quelle tradizionali lanciate da Israele. “Intere stagioni di raccolto sono perdute”, afferma Dabuk. “Decine di migliaia di persone sono scappate verso nord. Ma moltissime altre sono rimaste, altre sono tornate”, afferma il presidente dell’Unione delle municipalità di Tiro.

L’ultimo getto di benzina sulla miccia accesa in Medio Oriente è arrivato appunto con gli scambi di fuoco della notte. Israele ha colpito anche nel territorio del Libano, prendendo di mira un’auto nell’area di Bazouriye. Nel raid è stato ucciso “Ali Abed Akhsan Naim, vicecomandante dell’unità che si occupa del lancio di razzi” dell’organizzazione sciita. Che “era anche uno dei leader per il lancio dei razzi a testata pesante“. Sul fronte opposto Hezbollah, “per vendicare il raid su Aleppo”, ha annunciato di aver sparato alcuni missili Burkan contro la base militare israeliana in Alta Galilea. La tv al Manar dello stesso Partito di Dio ha affermato che è stata colpita la base di Biranit, sede della 91/esima divisione dell’esercito di Israele a ridosso della linea del fronte, poco distante dal villaggio cristiano libanese di Rameish. La stessa fonte ha fatto sapere che sono stati lanciati razzi contro postazioni militari israeliane nell’area delle Fattorie di Shebaa, area contesa tra Libano, Siria e Israele.

L’attacco ad Aleppo – che lo Stato ebraico non ha finora commentato – è stato condannato con forza dalla Russia, storica alleata del regime di Assad. “Tali azioni aggressive – ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova – costituiscono un’aperta violazione della sovranità di questo Paese e delle norme fondamentali della legge internazionale”. Lo stesso concetto è stato espresso dal ministero degli Esteri dell’Iran.

Allo stesso tempo sembrano affacciarsi spiragli per una tregua. Il premier Benyamin Netanyahu ha incaricato il capo del Mossad, David Barnea, e quello dello Shin Bet Ronen Bar di “inviare nei prossimi giorni proprie delegazioni a Doha e al Cairo, con un ampio potere di decisione nella prosecuzione delle trattative sugli ostaggi”. Israele, che in questa fase deve fare i conti con i rapporti sempre più tesi con gli Stati Uniti, continua comunque a ricevere un sostanziale supporto militare dal principale alleato. Secondo il Washington Post negli ultimi giorni l’amministrazione Biden ha autorizzato il trasferimento di miliardi di dollari in bombe e aerei da combattimento allo Stato ebraico. Nel pacchetto ci sarebbero anche 25 jet F-35. Allo stesso tempo la Casa Bianca prova a spingere per una soluzione politica della crisi. Lo stesso Biden infatti ha affermato che l’Arabia Saudita e altri Paesi arabi sono “pronti a riconoscere pienamente Israele”. A patto, ha precisato, che ci sia “un piano post-Gaza” e “una soluzione a 2 Stati“. Biden ha ammesso che questo “non avviene oggi, ma deve esserci un progresso, penso che possiamo ottenerlo”.

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