Martedì 26 marzo. Stellantis firma un accordo con alcune sigle sindacali dei metalmeccanici per l’uscita volontaria incentivata (oltre 100mila euro) di 1.560 dipendenti da Mirafiori, oltre il 10% dei dipendenti, 850 da Cassino di cui 300 in trasferta a Pomigliano, 100 da Pratola Serra. A Mirafiori saranno 733 tra quadri e impiegati, 300 alle carrozzerie. Uscite ovviamente non compensate da nuove assunzioni. Se ne parlava già da una settimana. La Fiom immediatamente respinge la proposta e non firma l’accordo.

Intanto, a Mirafiori partono i contratti di solidarietà per quasi mille lavoratori fino a fine 2024, mentre Tavares continua schizofrenicamente a parlare di rilancio e centralità dello stabilimento. Poi, tagli. Oltre 2.500 esuberi, che aumenteranno di sicuro quanto l’azienda si pronuncerà sugli stabilimenti di Pomigliano d’Arco e Melfi. Fiom lo definisce un “piano per spegnere il lavoro”; difficile dissentire.

Dove sono i nuovi modelli? La fine della cassa sarebbe l’incentivo ad andarsene? Quale sarà il futuro industriale e occupazionale di Torino? La desertificazione continua e Stellantis spera soltanto di non risponderne mai. Nel frattempo, l’indotto perde un altro tassello: il 25 marzo scendono in corteo e in presidio davanti alla sede della Regione Piemonte i lavoratori e le lavoratrici della Delgrosso di Nichelino, azienda produttrice di filtri (aria, olio, gas e benzina) per motori. La vicenda di questa industria racconta in parte la sofferenza dell’indotto automotive, ma è anche – come spesso accade – un caso di amministrazione scellerata. Perché attenzione: c’è la crisi legata alle inadempienze e ai ritardi della grande azienda madre, c’è la fuga di Stellantis, ma ci sono state scelte non oculate da parte degli imprenditori di Delgrosso, esattamente come nel caso della Lear, che non hanno saputo diversificare, innovare, espandere verso altri settori la produzione di sistemi filtranti.

“Prenditori” – così li chiamano gli operai in sciopero – che hanno avviato l’istanza di liquidazione, nonostante la presenza di commesse per milioni di euro, lasciando gli operai – con la fine del contratto di solidarietà – senza lavoro, senza ammortizzatori e senza prospettive, dopo averli privati della tredicesima, del Tfr e delle cessioni del quinto: 108 famiglie nel limbo, che non ce la potranno fare senza un capitolo di bilancio dedicato della Regione e senza che il Governo cambi la norma che non permette alle aziende in liquidazione di avere ossigeno in vista di una futura reindustrializzazione. Insomma, come al solito, non è certo il caso di dare la colpa alla transizione ecologica, perché intraprenderla non significherà smettere di produrre filtri.

Sono le frasi che dichiaro all’indomani del presidio, come ho fatto in tante altre occasioni. Mi risponde l’Assessora al Lavoro della Regione Piemonte, Elena Chiorino, con i toni che Fratelli d’Italia predilige in campagna elettorale. “Marco Grimaldi ha perso un’altra buona occasione per tacere: accecato dalla sua ideologia da talebanesimo green – causa essa stessa della crisi dell’automotive”. Ovviamente non mi offendo a essere definito turboecologista; sempre meglio che climafreghista, come i fratelli e le sorelle d’Italia. Il punto è che non c’entra niente.

Innanzitutto, se Mirafiori produce meno di 100mila veicoli e diventa solo cassa integrazione, il fenomeno si ripercuote e si amplifica lungo l’intera filiera. Secondo, l’automotive italiano non è certo in crisi per colpa di Greta Thunberg. Gli operai di Mirafiori non sono in cassa integrazione da 17 anni a causa della fine del motore endotermico. Semmai c’entra il ritardo italiano nella transizione ecologica. Anche Leapmotor, il partner cinese che Stellantis sbandierava promettendo di portarlo qui, ha gentilmente declinato: meglio gli stabilimenti in Polonia per produrre le sue utilitarie elettriche.

Il futuro elettrico dell’automotive in Italia al momento semplicemente non è, mentre esiste tutto attorno a noi e anche Stellantis ne fa parte. L’unica cosa che ci sta lentamente uccidendo è continuare a dare credito alla favola di Tavares sulla centralità dell’Italia per Stellantis, mentre la società lavora alacremente a spegnere ogni refolo di vita senza passare da licenziamenti collettivi. Ma guai a rinunciare a chiedere incentivi finanziati con denaro pubblico.

I numeri sugli esuberi e le uscite anticipate, comunicati alla vigilia del primo sciopero unitario del settore auto a Torino degli ultimi 15 anni, sono un affronto e una provocazione. Ma, come si suol dire, “ccà nisciun è fess”. Ci vediamo il 12 aprile in piazza.

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