Il 2023 ha segnato un record per la povertà in Italia. Secondo l’indagine preliminare Istat appena rilasciata, 5,7 milioni di italiani vivono in povertà assoluta, mai così tanti. Al Sud l’incidenza più alta, al Nord l’aumento più netto. A peggiorare è in particolare la condizione dei nuclei con lavoratori dipendenti, soprattutto tra gli operai. Ed è allarmante la crescita dei minori in povertà, ormai 1,3 milioni. Numeri che Enrica Morlicchio, sociologa del lavoro alla Federico II di Napoli, conosce bene. Perché confermano quanto denuncia da anni: “In Italia la povertà è un male che si eredita a livello intergenerazionale e da questo punto di vista abbiamo i valori più alti nella Unione europea a 27”. Un dato che punta il dito contro le misure insufficienti messe in campo finora. “Abbiamo evidentemente un sistema di welfare e un mercato del lavoro incapaci di riassorbire quello che è ormai uno zoccolo duro di famiglie in povertà, ma nemmeno in grado di creare una rete per le persone che lo sono in modo temporaneo e così rischiano di diventarlo in modo permanente”. E avverte: “Ci troviamo di fronte a una disuguaglianza nuova, con distanze incommensurabili e super ricchi che non sono più interessati alla questione sociale”.

Professoressa Morlicchio, partiamo dal nostro futuro, dai giovani.
Elaborando i dati Eurostat, l’Istat ci dice che il 30 per cento delle persone tra i 25 e i 49 anni in condizioni di deprivazione viveva già in famiglie povere all’età di 14 anni. Questa componente ereditaria è la più alta in Ue, in aumento costante dal 2011 e in controtendenza rispetto agli altri Stati membri, dove la media è diminuita. Paesi come il Belgio hanno un’incidenza più alta della povertà tra i 18 e i 24 anni, ma poi si riduce. Da noi invece si radicalizza.

Perché?
Mancano gli interventi necessari a partire dalle politiche abitative. Più in generale, il sistema non favorisce i processi di autonomia individuale, dai giovani a chi esce da un matrimonio. Basti pensare che un figlio diventa un fattore di povertà e che l’incidenza della povertà assoluta aumenta ormai già dal primogenito. In altre parole, per molti giovani italiani o rimani povero o emigri.

Un’eredità e prima ancora un destino?
Tra i minori fino a 17 anni l’incidenza della povertà assoluta è passata dal 3,9 per cento del 2005 al 14,2 per cento dei giorni nostri, più alta che in qualunque altra fascia di età. Povertà economica è anche povertà educativa: in Sicilia l’81 per cento degli alunni non usufruisce di un servizio mensa. In Calabria l’82 per cento dei minori non è mai stato a teatro in un intero anno. In Campania il 66 per cento di quelli in età scolare non fa alcuna attività sportiva. Lo stesso tasso di abbandono ha a che fare con il sacrificio di chi, dopo la scuola, lavora o bada ai fratellini per permettere ai genitori di lavorare. Come non bastasse noto segnali preoccupanti, dal calo della solidarietà all’esasperazione della competizione tra bambini. La scuola sta diventando il luogo dove più si misurano le disuguaglianze, mentre dovrebbe essere il luogo dell’integrazione per eccellenza.

Intanto nel 2023 molti si sono visti togliere il Reddito di cittadinanza, sostituito quest’anno da una misura con una platea più ristretta.
A gennaio sono stata al convegno della Società italiana di Sociologia economica (Sisec) e tutti i contributi presentati in quella sede dimostrano con evidenze empiriche gli effetti positivi del Reddito unito al contributo per l’affitto. Ha fatto tirare il fiato alle famiglie e vedere una madre meno angosciata rispetto al presente ha ricadute sul benessere familiare non solo in senso economico. Assurdo che, nonostante i risultati attestati da ricerche di diversa provenienza accademica e geografica, la misura abbia goduto di una narrativa totalmente negativa e colpevolizzate.

Perché tanta burocrazia, ostacoli, condizionalità?
Non abbiamo compreso che la gente il lavoro lo vuole, perché è ancora una fonte importante di identità. C’è la precarietà, vero, ma questa non ha tolto del tutto la libertà che dà il lavoro. Le persone e le donne in particolare non lavorano perché hanno figli, perché non hanno strategie di conciliazione che un modello di lavoro molto maschile non offre. Questa idea che la gente non vuole lavorare… la gente muore per lavorare, come ci insegnano i troppi morti sul lavoro. Dov’è questo indebolimento dell’etica del lavoro di cui parlano? Anni fa un senegalese vendeva fazzoletti di carta a un semaforo. Dopo averlo perso di vista gli domandai dove se ne fosse andato. “’A cchiù bella cosa è ‘a fatica”, rispose in napoletano. Era andato a fare la stagione dei pomodori.

Come giudica quanto ha fatto in materia l’attuale governo?
In modo negativo, sicuramente. La destra ha parlato alla pancia, cavalcando il risentimento, le paure del ceto medio. Ma ha fatto male i conti e potrebbe diventare un boomerang dal punto di vista elettorale, non solo al Sud. Perché le persone hanno mangiato la foglia e vedono che l’attacco al Reddito di cittadinanza non ha significato migliori occasioni per un ceto medio impoverito, quanto piuttosto accrescere le disuguaglianze sociali e favorire le fasce più abbienti. Dietro l’apparenza popolare e romanesca c’è in realtà un governo molto classista, espressione di un blocco politico sociale molto coeso e forte. Quello che non ha saputo esprimere la sinistra negli anni scorsi. Che si è invece fatta interprete di una logica produttivista e in maniera sbagliata, visto che l’11 per cento dei lavoratori italiani sono poveri. Un errore che, se non altro, mi pare sia stato compreso.

Dall’altra parte c’è il 5% più ricco, che in proporzione paga meno tasse. Perché?
Manca il cosiddetto welfare fiscale. In Italia sottovalutiamo il fisco come sistema di redistribuzione e infatti ne abbiamo uno tra i meno progressivi, che produce e amplia le disuguaglianze. L’idea che quella ricchezza se la sono totalmente guadagnata ha preso piede. Ma possiamo dire davvero che l’amministratore delegato di una società come Stellantis merita 300 volte più di un operaio? Parliamo di distanze tali che non le puoi più nemmeno misurare in termini di disuguaglianza. Branko Milanovic, tra i maggiori esperti internazionali in materia, parla di “omoplutocrati”, una nuova classe che al massimo della ricchezza da lavoro somma il massimo della ricchezza da patrimoni. Non è mai accaduto in passato e questo lui lo dimostra con i dati. Di che parliamo? Spesso uso l’esempio della corsa ciclistica. I corridori di testa hanno preso il volo e non sono più interessati a sapere cosa succede agli altri. Così il corpo centrale, anch’esso lasciato indietro, si concentra sulla paura di essere raggiunto dagli ultimi. Siamo di fronte a una classe di super ricchi che vive in una bolla, disinteressata al destino degli altri, alla questione sociale.

Crede ai ricchi che chiedono di essere tassati di più?
Mah, magari c’è qualcuno che pensa che debba fare la sua parte. Di recente sono andata alla presentazione di un progetto di Luca Cordero di Montezemolo per tirocini destinati alle donne con l’idea di contrastare la povertà educativa. Io alla beneficenza preferirei un sistema fiscale fortemente redistributivo. Dove i diritti di cittadinanza fanno la differenza e provvedono a una vita dignitosa in quanto diritto del cittadino.

Dove metterebbe gli introiti di una patrimoniale per i super ricchi?
In un intervento sui minori e sul sostegno alle loro famiglie. E poi sulla promozione dell’occupazione giovanile e femminile. Per le donne, ancora una volta siamo sotto la media europea. Il Mezzogiorno d’Italia ha le regioni con i tassi di occupazione più bassi d’Europa, tassi di vera e propria esclusione. E poi ci Neet, i giovani che non studiano e non lavorano. Anche qui guidiamo la classifica europea. Non c’è da stupirsi, mi creda. Mi sono laureata nel 1980 con una tesi sulla legge 285, quella che prevedeva un piano straordinario per l’occupazione giovanile. Poi non c’è più stata una politica pubblica per l’occupazione giovanile. Mai più, da allora.

Partecipa al sondaggio (qui sotto) del Fatto con Oxfam su disuguaglianze e necessità di un’imposta sulle grandi ricchezze. Qui il link al sito La Grande Ricchezza da cui è possibile aderire alla raccolta firme per chiedere alla Ue l’introduzione di una tassa a livello europeo.

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