di Federica Pistono*

La narrativa algerina di lingua araba è ancora poco nota ai lettori italiani, anche se, al suo interno, non mancano voci che molto avrebbero da raccontare. Una di queste appartiene ad Abdelouahab Aissaoui, uno scrittore algerino già noto al pubblico italiano per il romanzo storico La corte spartana (Centro Studi Ilà, traduzione di H. Benchina e J. Guardi, 2023), opera vincitrice del prestigioso Booker Prize per il romanzo arabo nel 2020. Aissaoui, che già aveva al suo attivo diversi romanzi, fra i quali Il libro dei dimenticati, vincitore del Premio Katara del 2018, è tornato nelle librerie italiane nell’ultimo scorcio del 2023, con il romanzo Sierra de muerte (MR Editori, traduzione di A. D’Esposito, 2023).

Anche questo testo, come il precedente, è volto a ricostruire un quadro dell’Algeria collocato nel passato, per restituire al lettore un altro tassello della storia del paese. Questa volta l’intreccio non è ambientato ai tempi della colonizzazione francese, ma in un’epoca più vicina a noi, quella della guerra civile spagnola e dei campi di lavoro francesi per prigionieri politici in Algeria, alle soglie della seconda guerra mondiale. A Djelfa, città dell’entroterra del paese, è situata una di queste prigioni, Ain Asrar, gremita di detenuti politici di origine europea. L’opera ruota intorno alla storia di un gruppo di comunisti spagnoli, internati dopo la guerra civile.

La trama non narra le vicende della guerra civile spagnola, affrontate in diversi celebri romanzi come Per chi suona la campana di Ernest Hemingway o Non piangere, della scrittrice franco-spagnola Lydie Salvayre, ma s’incentra piuttosto sulle conseguenze del conflitto. A una prima lettura, si riceve l’impressione che l’autore abbia scelto un argomento tratto dalla storia globale contemporanea, allontanandosi dal contesto algerino. In effetti, l’analisi del testo dimostra proprio la tesi opposta. Il lettore si rende subito conto di quanto la vicenda narrata sia parte tanto della storia algerina, quanto di quella della guerra civile spagnola, dipingendo molti dettagli della vita dei suoi protagonisti.

Come in un memoriale di prigionia, la voce narrante del protagonista racconta il trascorrere dei giorni nel campo di detenzione di Djelfa, situato alle porte del deserto, costruito dalle autorità francesi negli anni Trenta del XX secolo per accogliere i repubblicani, i comunisti e gli anarchici di diverse nazionalità europee sconfitti dal generale Franco. Nel campo, s’impone la convivenza di persone appartenenti a fedi diverse, cristiani, musulmani, ebrei. Il romanzo rientra quindi nell’ambito dell’adab al-suğūn, la letteratura di prigionia, che costituisce un ricco filone della narrativa araba che attraversa tutti i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. La tematica del carcere si connette strettamente alla problematica della violenza e della spietatezza, spesso gratuite, esercitate sui reclusi, e si collega al motivo della caparbia volontà dell’essere umano di sopravvivere nelle situazioni più aspre e nelle più dure privazioni.

Il centro della scena è occupato dai prigionieri, tormentati dai carcerieri, depressi e delusi dal tradimento della Francia del governo di Vichy dopo la disfatta dei Repubblicani in Spagna, ma anche occupati in mille relazioni con gli abitanti di Djelfa, impegnati in traffici di ogni genere. Il lettore viene a conoscenza, attraverso i dialoghi dei personaggi, dell’esistenza della Sierra de Muerte, la Montagna della Morte, un luogo immaginario che occupa le menti dei protagonisti durante l’intera vicenda.

Nell’opera, l’ambientazione storica s’intreccia e si fonde a temi politici ed esistenziali collegati ai detenuti internati nel carcere: Manuel, Pablo, Korsky, e il direttore del campo, Kabosh, personaggi realmente esistiti, cui l’immaginazione dello scrittore, colmando le lacune della memoria, ritaglia contorni ben definiti. Manuel è uno scrittore e diplomatico franco-spagnolo-tedesco, ateo, mentre nei panni di Pablo si cela l’anarchico Antonio Atarés Olivan, famoso per la corrispondenza epistolare con Simone Weil; Korsky, infine, è lo scrittore polacco Paul Zollberg.

Il romanzo può essere definito come un dialogo letterario, raffinato e civile, collocato in un momento storico segnato dalla barbarie, ma anche come il soliloquio di chi, di fronte al male, perde i propri ideali.

* Dottore di Ricerca in Letteratura araba, traduttrice, arabista, docente, si occupa di narrativa araba contemporanea e di traduzione in italiano di letteratura araba

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