Un “mondo demograficamente diviso”. Entro il 2100 si prevede un crollo globale della fertilità, con un tasso destinato a scendere sensibilmente nel 97% dei Paesi, ben 198 su 204; nello stesso periodo però si prevede che le nascite raddoppieranno nei Paesi a basso reddito e che un bambino su due nascerà nell’Africa subsahariana. Lo scenario, a dire il vero non particolarmente sorprendente, è stato presentato sulla rivista The Lancet dal programma di ricerca Grb, acronimo di Global Burden of Disease, Injuries, and Risk Factors, guidato dall’Hme, l’Institute for Health Metrics and Evaluation dell’Università di Washington.

Una situazione che gli autori della ricerca definiscono appunto un “mondo demograficamente diviso”, fra un baby boom nei Paesi più poveri e un baby burst in quelli più ricchi, che promette di avere conseguenze molto serie per le economie e le società, a partire dalle migrazioni. La bassa fertilità, rilevano gli autori della ricerca, potrebbe essere mitigata sia da un’immigrazione etica ed efficace, sia da politiche di sostegno ai genitori.

Secondo lo studio, guidato da Stein Emil Vollset e Natalia V. Bhattacharjee, il declino della fertilità comincerà a dare segni importanti nel 2050, quando più di tre quarti dei Paesi del mondo (155 su 204) non avranno un tasso di fertilità sufficientemente alto per poter sostenere nel tempo le dimensioni della loro popolazione. L’Italia non farà eccezione considerando che, sulla base dei dati dello studio, il tasso di fertilità è sceso progressivamente dal 2,45 del 1950 all’1,21 del 1980, all’1,21 del 2021 e si prevede che arrivi all’1,18 nel 2050 e all’1,09 nel 2100; sempre nel nostro Paese il numero dei neonati è andato diminuendo di conseguenza: dagli 885mila del 1950 ai 640mila del 1980 e ai 398mila del 2021, con un calo ulteriore previsto a 285mila nel 2050 fino a 136mila nel 2100.

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