L’8 marzo è stata la giornata internazionale dello sciopero globale transfemminista. Un grande sciopero sociale che ha compiuto il suo ottavo anniversario e che nel nostro paese ha visto una giornata intera di sciopero, convocata da Non una di Meno e sostenuta da diverse sigle sindacali (Flc Cgil, Slai Cobas, Adl Cobas, Cobas, Usb, Usi Cit, Usi 1912, Clap, SI Cobas, Cub Trasporti, Uiltrasporti, Flaei Cisl, Uiltec Uil, Ops Faisa Cisal). Quest’anno, per la prima volta, a convocare lo sciopero non sono stati soltanto i sindacati di base, ma anche alcune categorie dei sindacati confederali: quest’anno ignorare le 500mila persone scese in piazza a Roma il 25 novembre scorso non era possibile. In piazza sono scese lavoratrici e lavoratori del settore pubblico e privato, studentesse e studenti, tutte e tutti uniti contro la violenza di genere e il patriarcato.

Nel 2022 gli accessi delle donne al Pronto Soccorso a seguito di violenza sono stati 14.448; rispetto al 2021 si stima ci sia stato un incremento del 13%. Nel 2023 le richieste ricevute dal numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking, il 1522, sono state 51.713, in significativo aumento rispetto agli anni precedenti: questo grazie anche alla risonanza che ha avuto la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre, e alle parole di Elena, sorella di Giulia Cecchettin.

Nel 2022 si sono contati 890mila femminicidi in tutto il mondo. Migliaia di donne muoiono ammazzate tutti i giorni, quasi sempre dentro le mura di casa. In Italia, secondo i dati della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, presentata il 23 gennaio di quest’anno, i femminicidi nel 2022 sono stati 126, 120 nel 2023. Le analisi dei dati dimostrano che ben oltre la metà degli omicidi di genere avvengono per mano del partner o di un ex partner, mentre quelli che vengono commessi da altri parenti sono il 20%: praticamente 4 femminicidi su 5 riguardano la sfera familiare.

I dati proseguono implacabili e dimostrano quanto gli slogan femministi siano attuali: le denunce per violenza comprendono violenze psicologiche (12.227 casi), violenza fisica (8.336 casi) e minacce (6.391 casi). Le violenze denunciate nella maggior parte dei casi si protraggono per anni, in pochissimi casi si tratta di un episodio isolato. Non cambia la situazione il possesso o meno di un titolo di studio (il 41,8% possiede un titolo di studio secondario, il 32,3% è laureata); influisce, invece, quanto le donne sono confinate in casa: dati alla mano, sono le casalinghe e le pensionate che subiscono violenza da più anni, in misura ancora maggiore le donne migranti, spesso legate al permesso di soggiorno del marito o del padre.

Le donne che subiscono violenza hanno spesso figli, a loro volta vittime secondarie. I casi di violenze isolate sono invece per lo più denunciati dalle studentesse (16,6%), come hanno dimostrato le recenti manifestazioni in moltissimi atenei italiani e il report dell’Unione degli Universitari “La tua voce conta”.

L’8 marzo le donne sono scese in piazza contro tutto questo: per chiedere che la questione della violenza di genere non venga più affrontata in maniera securitaria, perché vanno scardinati i meccanismi di un approccio emergenziale e punitivo. E per chiedere più fondi per i Cav (centri antiviolenza), i quali denunciano come il 60% delle donne che iniziano un percorso di affrancamento da una situazione di violenza non sia autonoma economicamente.

Le femministe e le transfemministe chiedono più attenzione nelle scuole e rifiutano il piano Valditara, perché per educare alle relazioni bisogna ancor prima chiedersi in che modo, in che tempo e in che condizioni quelle relazioni si siano create. Vogliono che la violenza di genere sia affrontata per quello che è veramente: un problema strutturale. Il 40,2% (10.515) delle donne che ha contattato il 1552 ha affermato di aver subito anche violenza economica: l’impossibilità di usare il proprio reddito o addirittura di non conoscere l’ammontare del denaro disponibile in famiglia, di essere escluse dalle decisioni e dalla gestione del denaro familiare.

La violenza è strutturale, e non sarà possibile eliminarla senza affrontare gli intrecci con la violenza razzista e lo sfruttamento (e non è un caso che l’Italia sia il paese con il valore più basso di occupazione femminile di tutta l’Unione Europea).

Pari dignità di lavoro significa poco, quando il lavoro è costantemente sfruttato e precario in buona parte dei settori, comprese le posizioni più qualificate. La pari dignità è connessa anche alla possibilità di avere un lavoro ed essere madri, visto che l’occupabilità femminile scende fino al 54,1% per le donne che hanno figli minori di cinque anni. Per questo nelle piazze si è reclamato a gran voce il cessate il fuoco a Gaza e la fine della guerra in Ucraina. Il canto “Donna, Vita, Libertà”, gridato per prime dalle donne iraniane e curde, ha riecheggiato in tutto il mondo, da Buenos Aires a Londra, in Polonia, in Spagna, in Italia, in Turchia. Quel grido ha fatto paura a molti: per le strade di Istanbul le donne sono state attaccate dalla polizia, a Parigi è stato attaccato il corteo, così come a Londra.

Le femministe e le transfemministe di tutto il mondo però non si fermano, e continuano a scioperare, a manifestare e a pretendere un mondo diverso.

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