Come prevedibile e nel solco delle decisioni precedenti la Giunta per le immunità del Senato ha respinto la richiesta della procura di Firenze di sequestrare la corrispondenza elettronica di Matteo Renzi, nell’ambito della inchiesta sui presunti finanziamenti illeciti della Fondazione Open. Tutti i gruppi, tranne M5s, hanno votato a favore della proposta del relatore, Meinhard Durnwalder, che chiedeva appunto di respingere la richiesta degli inquirenti fiorenti. Ora dovrà esprimersi l’Aula di Palazzo Madama, ma il voto appare scontato.

La decisione della Consulta – Nel luglio scorso, la Corte costituzionale aveva accolto il conflitto di attribuzione proposto dal Senato. La Corte aveva stabilito dichiarato che la Procura non poteva acquisire, senza preventiva autorizzazione del Senato, messaggi di posta elettronica e whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi. Gli organi investigativi – aveva precisato la Corte – sono abilitati a disporre il sequestro di “contenitori” di dati informatici appartenenti a terzi, quali smartphone, computer o tablet: ma quando riscontrino la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza per poterli coinvolgere nel sequestro. Ciò a prescindere da ogni valutazione circa il carattere “occasionale” o “mirato” dell’acquisizione dei messaggi stessi.

La Consulta aveva accolto il conflitto riconoscendo la violazione del terzo comma dell’articolo 68, terzo comma, della Costituzione ovvero “Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza”.

In virtù di questa norma, “senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto (…) a intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza”. La decisione aveva portato all’annullamento del sequestro di quelle conversazioni disposto sullo smartphone dell’imprenditore Vincenzo Ugo Manes, mentre l’altro provvedimento contestato da Renzi, il sequestro dello smartphone del suo amico Marco Carrai, era già stato annullato dalla Cassazione (seppur con motivazioni differenti).

Il caso Open – Il 22 febbraio del 2022 il Senato aveva votato a favore del conflitto. A inizio febbraio i pm toscani avevano chiesto di processare l’ex presidente del consiglio e altri dieci indagati (compresi i deputati Maria Elena Boschi, e Luca Lotti, l’ex presidente di Open Alberto Bianchi, l’imprenditore Marco Carrai) per alcuni reati contestati a vario titolo: si va dal finanziamento illecito ai partiti alla corruzione, dal riciclaggio al traffico d’influenze.

All’interno dell’indagine sono confluiti migliaia di documenti ottenuti dalla procura tramite una serie di perquisizioni e sequestri a carico di alcuni indagati. Tra questi ultimi – è il caso di sottolinearlo – non c’è Renzi, che non ha subito alcuna perquisizione personale. In caso contrario, essendo il leader di Italia Viva un parlamentare, i pm avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione preventiva alla Camera di appartenenza. Ma la Procura di Firenze non aveva alcuna intenzione di perquisire Renzi. Il nome dell’ex premier, però, è saltato fuori in una serie di messaggi Whatsapp conservati nella memoria di cellulari sequestrati a terze persone.

È bastato questo per scatenare il leader di Italia Viva si era rivolto all’allora presidente di Palazzo Madama Elisabetta Casellati sostenendo che i pm avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione parlamentare per sequestrare i dispositivi elettronici di altre persone (non coperte dall’immunità parlamentare) che avevano avuto avuto scambi con lui: una tesi accolta prima dalla Giunta per le immunità e successivamente dall’Aula. Ed è così che si è arrivati alla Consulta. Durante l’indagine era stato sequestrato il cellulare dell’imprenditore Vincenzo Manes ed è lì che c’erano i i messaggi scambiati su Whatsapp in cui si parlava del volo Roma-Washington da 135mila euro pagato dalla fondazione Open.

Per il caso Open è in corso l’udienza preliminare davanti al gup di Firenze, Sara Farini, che il 10 novembre scorso aveva sollecitato l’autorizzazione a Camera e Senato per il sequestro probatorio di quelle “comunicazioni” che vedono coinvolti come interlocutori l’ex premier, Maria Elena Boschi, Luca Lotti e Francesco Bonifazi (non imputato nel procedimento). Ed è così che il “fascicolo” è arrivato nuovamente in Giunta.

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