di Giulia Capitani, Migration Policy Advisor di Oxfam Italia

Lunedì Oxfam, insieme a altre 130 organizzazioni europee, ha inviato una lettera aperta alle istituzioni comunitarie per riportare l’attenzione sulla prossima scadenza dei permessi di soggiorno per protezione temporanea rilasciati ai profughi ucraini, che entrano oggi, 5 marzo 2024, nell’ultimo anno di validità.

L’inerzia dell’Europa

In un momento in cui si è tornati a discutere con preoccupazione dell’andamento della guerra in Ucraina, ben poche voci si levano a ricordare che, a marzo 2025, oltre 4 milioni e 300mila permessi di soggiorno, rilasciati dai vari Stati membri alle persone in fuga dall’invasione russa, scadranno tutti insieme, senza più possibilità di essere rinnovati. A livello europeo non si è mosso nulla, in questi due anni, per trovare una soluzione. Ed è davvero difficile pensare che qualcosa di significativo avverrà alla vigilia delle difficili elezioni di giugno per il rinnovo del Parlamento Europeo.

In ogni caso, per un buon numero di soluzioni ipotizzabili, è probabilmente già tardi: qualunque modifica delle normative europee necessita infatti di tempi di definizione tecnica e di negoziazione politica non compatibili con la scadenza prevista, sia che si tratti di interventi sulla stessa Direttiva sulla Protezione Temporanea, in vista di una sua modifica o prolungamento, che in altre ipotesi, come quella di ampliare il campo di applicazione della Direttiva Soggiornanti di Lungo Periodo in modo da includere anche le persone sfollate dall’Ucraina.

Ugualmente la riattivazione della Direttiva in vigore oggi alla sua scadenza tra un anno, “come se” ci si trovasse di fronte a un nuovo massiccio afflusso di sfollati – soluzione non certo ottimale, ma forse al momento la più tutelante per le persone coinvolte – è un’opzione che non pare percorribile a causa del consenso politico unanime che richiederebbe.

Pare dunque inevitabile che si proceda verso una gestione diversa per ogni Stato membro, con il rischio di una generale corsa al ribasso per quanto riguarda gli standard di tutela dei profughi ucraini, con la preoccupazione – questa sì, espressa dalle istituzioni europee – che questo possa generare nei prossimi mesi spostamenti massicci da uno stato all’altro dell’Unione.

La parziale risposta italiana: la conversione in permessi di soggiorno per lavoro

Cosa succederà quindi in Italia, dove le persone titolari di protezione temporanea sono oltre 180.000? Al momento, è facile prevedere che la maggior parte di loro faranno richiesta di asilo, mandando il sistema di protezione internazionale ancora più in affanno di quanto non sia già. Nonostante la protesta delle Commissioni Territoriali per l’Asilo abbia infatti spinto il Viminale alla decisione di assumere 118 nuovi funzionari, il personale resta largamente insufficiente rispetto alle richieste pendenti: oltre 80.000, 12.000 solo a Milano.

Dal punto di vista delle persone sfollate, poi, per quanto il transitare nel sistema di asilo appaia lo scenario in grado di garantire maggiori tutele, ricordiamo cosa significa oggi chiedere asilo in Italia: attese di giorni o settimane per il primo accesso in Questura, appuntamento per il foto-segnalamento dato a mesi di distanza, anni per riuscire a chiudere la pratica. E se immaginiamo che alcune migliorie procedurali potranno essere apportate proprio per la popolazione ucraina, da un lato lo spazio di manovra della legislazione nazionale non è amplissimo. E dall’altro, il rischio concreto è che si rafforzi ulteriormente quel sistema a doppio binario che ha così plasticamente evidenziato le disparità di trattamento tra persone vulnerabili, dalla decisione stessa di applicare la Direttiva in poi.

È comunque da rilevare che nell’ultima Legge di Bilancio è stata inserita la possibilità di convertire il permesso per protezione temporanea in permesso per lavoro. Si tratta di una buona iniziativa, che lascia tuttavia troppe aree scoperte. Innanzitutto siamo costretti a immaginare che poche persone potranno disporre di un contratto di lavoro regolare, necessario per la conversione.

E questo varrà soprattutto per le donne ucraine, che in Italia sono la larga maggioranza: sono oltre 102.000 conteggiando solo gli adulti, contro appena 23.000 uomini. Nelle interviste realizzate per il paper Oxfam “Protetti. O no?”, pubblicato lo scorso novembre, abbiamo incontrato decine di donne e ragazze ucraine impiegate senza contratto come personale di pulizia negli alberghi o come assistenti familiari, senza nessuna possibilità di essere regolarizzate. Inoltre, un permesso di soggiorno per lavoro non garantisce certamente lo stesso livello di tutela fornito dalla protezione temporanea.

Di fronte al perdurare della situazione che ha portato milioni di persone alla fuga dall’Ucraina, perché non dovrebbe essere loro riconosciuto uno status più tutelante di un permesso per lavoro, inevitabilmente legato alla durata, alla tipologia, alla precarietà del contratto con il datore? Cosa succederà a queste “ex-protette”, se perderanno il posto di lavoro dopo aver convertito il permesso, magari perché muore il loro assistito? Eppure, in un sistema ormai malato come quello che regola l’immigrazione in Italia, anche questa parziale soluzione appare come un privilegio, se consideriamo che la conversione per lavoro semplicemente non è permessa dalla legge a molte altre categorie di migranti.

Il governo italiano intervenga in Europa

A fronte di questo scenario preoccupante, è davvero necessario che il governo italiano faccia la sua parte, anche in seno all’Unione Europea, per approntare le soluzioni necessarie. Certo, le scelte politiche e le novità normative promosse dall’esecutivo Meloni fin dal suo insediamento non fanno ben sperare.

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