A una settimana dal deposito della perizia agli atti del processo con cui si è dichiarata la “capacità di intendere e di volere”, lo psichiatra Elvezio Pirfo in aula risponde alle domande e spiega i contenuti della relazione richiesta dai giudici della corte d’Assise sulle condizioni di Alessia Pifferi, accusata dell’omicidio aggravato della figlia Diana di soli 18 mesi lasciata morire di stenti. La perizia era stata disposta dai giudici dopo gli scontri tra accusa e difesa, che aveva presentato una relazione di due psicologhe del carcere di Sa Vittore di Milano in cui si sosteneva che l’imputata avesse il quoziente intellettivo di una bambina di 7 anni.

L’indagine parallela – Il pm di Milano Francesco De Tommasi ha indagato le due psicologhe del carcere per falso e favoreggiamento per alcuni colloqui a San Vittore e l’avvocatessa Alessia Pontenani, che tutela gli interessi dell’imputata, anche lei indagata per falso. L’avvocatessa e le psicologhe, secondo il pubblico ministero, in accordo tra loro avrebbe aiutato Pifferi ad ottenere la perizia, falsificando il diario clinico e usando un test psicodiagnostico che non potevano utilizzare. La pm Rosaria Stagnaro ha rinunciato a seguire ancora il processo, perché ha fatto presente al procurato capo, Marcello Viol,a di non essere stata informata dal collega De Tommasi e di non condividerne la linea. Nanni, intanto, ha chiesto una relazione a Viola sulla gestione della nuova indagine. Pirfo nella sua relazione che “i test” somministrati dalle “psicologhe” sono “inattendibili” e sono stati considerati “una scelta inappropriata”.

Lo psichiatra: “Quasi apatica, una sorta di maschera emotiva” – “L’intervento delle due psicologhe a mio avviso non era appropriata e anche il test di Wais “va letto in questa prospettiva” ha spiegato lo specialista. Per l’esperto, che sta testimoniando in aula, non è possibile stabilire se Diana Pifferi sia stata ”influenzata” da un intervento, non consueto, delle due psicologhe: i colloqui non sono stati video registrati, “quindi non è possibile ricostruire il clima”, né le risposte sarebbero state riportate in modo completo. “Non sono in grado di dire se c’è stato condizionamento, ma sì di apprendimento: certe risposte della Pifferi restituiscono la capacità di comprendere e riutilizzare le parole delle psicologhe”.

Il ritratto che lo psichiatra restituisce è quello di una persona che si sente “perennemente inadeguata” che restituisce “una confusione identitaria, una persona incompiuta” dove la dimensione di madre “è una dimensione secondaria nella costruzione identitaria della Pifferi. Mi è parso che la sua dimensione sia quello di una maternità vissuta come obbligo o fatica, non che gratifica o rende compiuta una persona”. Pifferi, per lo psichiatra, sarebbe “quasi apatica, con un distacco totale, mi è parso che questa fosse una sorta di maschera emotiva, una schermatura emotiva“. Nel corso dei tre colloqui clinici condotti dal perito della corte e la sua testista, dottoressa Chiara Bele, Pifferi avrebbe mostrato un “eloquio sempre fluido” e senza “inciampi” sebbene “rallentata” e mostrando “costantemente la necessità di sottolineare la sua difficoltà mentale e i suoi problemi psicologici” in un’ottica “deresponsabilizzante“. La difesa della 38enne ha anticipato una richiesta di rinvio per poter studiare i “60 gigabyte” di materiale depositato e poter contro esaminare Pirfo e la sua collaboratrice.

Il pm: “Ho le prove che è stata imbeccata” – Il pubblico ministero De Tommasi, ha chiesto di “chiudere oggi il processo” rigettando le richiesta della difesa di controinterrogare il perito psichiatrico Elvezio Pirfo perché in caso contrario “vi dimostrerò nero su bianco la prova che l’imputata ha reso nei colloqui in carcere che ha tenuto delle dichiarazioni che sono state precostituite e imbeccate da altri”. “Vi fornirò la prova che il presunto abuso sessuale” di cui Pifferi ha parlato ai consulenti della Corte d’assise di Milano e che avrebbe subito “quando era minore” è “assolutamente falso” e che l’intero suo “racconto è frutto di un suggerimento ben preciso dato all’imputata“.

Lo sciopero degli avvocati “contro” l’indagine – “Nessuno è padrone esclusivo del processo e delle sue regole, il processo è di tutti e le barricate non servono a niente, siamo tutti parte di un meccanismo che se non funziona fa un danno enorme: il processo deve essere giusto” dicono i rappresentanti della Camera penale di Milano che hanno presentato il momento di confronto che è in corso, nella maxi aula d’Assise d’appello, tra avvocati e magistrati in occasione dell’astensione dei penalisti milanesi in concomitanza con l’udienza. Uno sciopero, indetto dalla Camera Penale e a cui ha aderito l’Ordine degli avvocati milanesi, per protestare contro i metodi dell’inchiesta parallela aperta dal pm Francesco De Tommasi a carico dell’avvocatessa Alessia Pontenani, che difende la donna imputata per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, e delle due psicologhe di San Vittore, tutte accusate di falso e favoreggiamento.

All’incontro sono presenti ad ascoltare anche una decina di pm milanesi, oltre a Leonardo Lesti, presidente Anm Milano, al presidente del Tribunale Fabio Roia, al presidente della Corte d’Appello Giuseppe Ondei e alla presidente della Sorveglianza Giovanna Di Rosa. Invitato ha scelto di non partecipare il procuratore Marcello Viola che, però, come spiegato dalla presidente della Camera Penale Valentina Alberta, “ci ha manifestato per iscritto la volontà di risolvere problematiche concrete e prendiamo sul serio la sua disponibilità a lavorare per scopi comuni”. Gli avvocati milanesi, in sostanza, ritengono che la nuova inchiesta aperta a processo in corso, con tanto di perquisizioni, abbia violato il diritto di difesa e il principio del giusto processo e sia stata una “ingerenza” da parte del pm nel dibattimento. “La Camere penale ha reagito – ha spiegato l’avvocato Francesco Sbisà – non perché è indagato un difensore, anche se fossero state indagate le sole psicologhe, proprio per l’oggetto dell’accusa, la tempistica e la metodica saremmo comunque intervenuti“.

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