Ce n’hanno messo di tempo. I leader del centrosinistra questa volta riescono nel miracolo: la foto l’hanno fatta dopo il voto e non prima. Le immagini di gruppo “di Vasto” e poi “di Narni” e infine “di Campobasso“, che nessuno comprensibilmente si ricorderà, furono buone solo ad anticipare il disastro e farsi additare per mesi. Ora la foto di Cagliari, a cose fatte e fatte bene: nello scatto entrano Elly Schlein e Giuseppe Conte che, insieme ad Alessandra Todde, neopresidente della Regione Sardegna, sorridono di una vittoria per certi versi insperata, o comunque solo sognata, dopo anni di delusioni, waterloo, ripartenze e paziente e sfibrante lavoro di cucitura tra anime a volte così vicine e a volte così lontane. Chissà come va chiamato questo rinnovato tentativo di centrosinistra – o campo progressista, o campo largo che largo non è, o schieramento alternativo alla destra – ma almeno per oggi i leader di questa coalizione che somiglia al cantiere della Sagrada Familia vedono la prima piccola contropartita di questo sforzo immane che è la risalita dalla valle delle lacrime, cominciata il 25 settembre 2022, quando il centrodestra ha fatto del Parlamento un sol boccone.

Ora la coalizione di governo che stava dritta sul cassero sente il moto ondoso in aumento, il blocco di marmo si presenta incrinato, il monolite sembra all’improvviso un po’ basculante: il candidato di centrodestra che a guardare i sondaggi aspettava solo questa barbosa formalità delle elezioni per essere intronato dopo un trionfale ingresso a cavallo esce sconfitto a sorpresa. Di poco, ma sconfitto, dopo essere stato imposto a suon di spintoni da Fratelli d’Italia – il partito imbattibile, primissimo, fortissimo – e dalle mani presidenziali della premier Giorgia Meloni, la leader che non sbaglia mai, dicevano, che studia ogni mossa, che parla quando deve parlare e sta zitta quando le conviene, che parla d’altro quando ci sono problemi.

In questo caso invece la presidente del Consiglio, pur di fare spazio a uno dei suoi, ha preso a spallate il governatore uscente – il sardista Christian Solinas – e soprattutto il suo socio elettorale Matteo Salvini. Per Truzzu ha perso la voce in una campagna elettorale col turbo. E’ finita a carte quarantotto e intorno ora le si faranno incontro gli alleati pronti a rinfacciarle come si fa la leader di una coalizione, come ci si comporta, Berlusconi non faceva così, a segnalarle l’errore atavico di chi crede che per vincere sia sufficiente comandare, a rammentarle che al 30 per cento – e pure oltre – ci sono arrivati Renzi, Salvini, Di Maio e guarda ora. Alla prima prova del percorso che porta alle Europee il centrodestra inciampa ed è costretto a ritrovare l’equilibrio prima che sopraggiunga l’Abruzzo, dove si vota il 10 marzo, praticamente domani, e dove corre un altro fratello patriota, Marco Marsilio, e in quel caso non ci sarà nemmeno un Solinas come antistress al quale dare la colpa all’occorrenza perché Marsilio è il governatore uscente. Se Meloni vede cadere il suo pedone e con lui le sicurezze dell’ultimo anno e mezzo e scruta l’orizzonte per capire se ora deve temere l’effetto trascinamento sulle altre Regioni, non si può non mettere a verbale lo psicodramma della Lega che in Sardegna fa il 3 per cento (partendo dall’11 di 5 anni fa quando qui era secondo partito) e viene doppiata da Forza Italia, costringendo il Capitano-ministro a battere in ritirata rinviando a data da destinarsi un’intervista già programmata in prima serata su Rete4, da Nicola Porro. Sarebbe stato un po’ complicato spiegare come mai proprio in Sardegna – dove aveva difeso quasi col suo corpo la ricandidatura di Solinas – l’alleanza ha smesso di vincere le Regionali, come succedeva ininterrottamente dal 2020.

Cambia il vento, c’era chi non scommetteva neanche che arrivassimo fino a qui” dice Schlein. “I cittadini sardi hanno chiuso la porta a Meloni e soci e l’hanno aperta all’alternativa. L’aria è cambiata” aggiunge Conte. E’ chiaro a tutti che la Sardegna è un po’ pochino perché faccia da manica a vento. C’è lì la matematica, severa guastafeste, a segnalare che le liste del centrodestra tutto insieme ha fatto comunque di nuovo la bellezza del 49 per cento mentre il campo largo non è ancora abbastanza largo e al massimo è arrivato al 42. Il rischio di adagiarsi sulle coste dolcissime della Sardegna è dietro l’angolo: potrebbe essere un caso isolato, potrebbe essere davvero solo tutta colpa di Truzzu o di Solinas. Ma anche no. Per esempio: l’ultima volta che il centrosinistra ha tolto il controllo della Regione al centrodestra è stato nel 2015 (c’era riuscito De Luca che sfrattò Caldoro). L’apparente immagine di un punto di svolta in una trama che sembrava sotto incantesimo – l’invincibile centrodestra che l’opposizione se la fa soltanto per conto suo – passa da un tweet di Dario Franceschini, come noto soprannominato Ohio, lo swing state che fa da barometro. L’ex ministro della Cultura non faceva parlare i suoi social dal 22 settembre, 5 mesi fa, e ora scrive: “La Sardegna indica che la strada imboccata tra mille difficoltà nel settembre 2019 era quella giusta. Ora va percorsa con convinzione e generosità”. Il riferimento è all’inizio del governo Conte 2. C’è una luce in fondo al tunnel e quella speranza la dà una grillina del corso governativo, una ex viceministra che si occupava di crisi industriali, una ingegnera con due lauree che di lavoro fa la manager, che conosce 4 lingue, ha vissuto e lavorato in mezza Europa e negli Usa.

Intanto la Sardegna sarà la prima Regione guidata da una governatrice espressa dai 5 Stelle, che però prendono un po’ più della metà dei voti del Pd, ed è troppo presto per dire se questo significa forza o fragilità. E’ una rivincita per Conte che ha l’ha spuntata al tavolo delle candidature, si è fatto dire di sì da Schlein e ha conquistato una tappa storica per il Movimento, sempre perdente alle Regionali. E’ la riscossa della segretaria che, proprio al rintocco di un anno da leader del più grande partito della coalizione, sventola questo risultato davanti al naso dei vedovi di Renzi e della corrente di minoranza guidata da Stefano Bonaccini che l’avevano appena minacciata brandendo nientemeno che il terzo mandato, un tema che – c’è da crederci – qualsiasi elettore di centrosinistra ha al centro del suo cuore.

Alessandra Todde diventa la prima presidente donna della Regione Sardegna e porta in dote 40mila voti in più del totale delle liste che la appoggiavano: i sardi hanno scelto lei più dei simboli e questa può essere la lesson number one per il centrosinistra o come si chiama. Non è un caso che sia Conte che Schlein sottolineino che questo era un “progetto serio e credibile“: l’unione fa la forza ma non fa necessariamente la differenza, non è sempre sufficiente per rispondere a tutte le domande degli elettori che cercano alternativa e cambiamento, rispetto alla destra e rispetto a ciò che la sinistra è stata fino a ieri.

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Alessandra Todde nuova governatrice della Sardegna. La candidata Pd-M5s vince per una manciata di voti. Truzzu si intesta sconfitta: “Cagliari mi ha votato contro, non chiederemo riconteggio”

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