“Fra i creatori del teatro moderno, Stanislavskij è un mito. Un mito esaltato, vituperato, incompreso, affrettatamente giudicato e interpretato da apostoli spesso poco raccomandabili”. Chi scrive così, in un appunto fino ad oggi inedito, è Gerardo Guerrieri (1920-1986). Il suo nome non dirà molto ai più oggi, fuori dalla cerchia degli specialisti. Ed è un vero peccato, perché si tratta di una delle intelligenze più brillanti, versatili e generose, oltre che inquiete, che abbiano animato la cultura teatrale italiana dagli anni Quaranta agli anni Ottanta: regista in proprio all’inizio, poi stretto collaboratore di Luchino Visconti, anche nel cinema, traduttore originale, critico sui generis (per L’Unità, prima, e per Il Giorno, poi), studioso, organizzatore infaticabile (insieme alla moglie Anne D’Arbeloff, scomparsa nel 2022).

Come studioso, Stanislavskij fu, insieme alla nostra Eleonora Duse, il suo interesse più grande, coltivato per un trentennio con la passione, la perspicacia e il perfezionismo che gli erano propri, dopo aver studiato il russo, nella prima metà degli anni Quaranta.

Sono quattro i principali contributi di Guerrieri in proposito: un articolo del 1953, Attualità di Stanislavskij, uscito sulla rivista Arena; le lunghe introduzioni del 1956 e del 1968, completamente diverse l’una dall’altra, alla traduzione italiana, presso Laterza, de Il lavoro dell’attore su se stesso; l’introduzione più breve ma ugualmente densa e illuminante all’autobiografia La mia vita nell’arte, pubblicata da Einaudi nel 1963. Tutt’altro che scritti d’occasione, si tratta di meditatissime e documentatissime chiavi d’accesso alla lunga e travagliata ricerca del grande maestro russo sull’attore, indagata nel suo snodarsi diacronico, nel contesto europeo d’inizio Novecento, nelle incidenze biografiche, nell’ethos profondamente scientifico, oltre che artistico, che la animò.

Questi scritti sono stati fondamentali agli studiosi e agli appassionati italiani di più generazioni per avvicinarsi proficuamente al cosiddetto Sistema o Metodo, aprendosi un varco tra la selva di incomprensioni, pregiudizi, luoghi comuni, letture parziali e superficiali. Un importante volume uscito da poco riunisce finalmente questi quattro contributi, aggiungendo una vasta scelta di materiali inediti, oltre ad alcune lettere e a testi per trasmissioni radiofoniche sul Terzo Programma (Dialogo sopra il massimo sistema. Appunti su Stanislavskij e altri scritti, introduzione e cura di Fausto Malcovati e Roberta Arcelloni, Bulzoni Editore).

Siamo così ammessi per la prima volta nella “cucina” dello studioso, e si viene colti dalla vertigine perdendosi fra centinaia di appunti, citazioni, abbozzi, schemi, traduzioni. Da cui emergono immagini fulminanti (Stanislavskij come “Rousseau dell’educazione teatrale”, “primo attore scienziato”, “gran domatore dell’inconscio”; “l’attore puerpera”, incinto del personaggio; l’attore “romanziere”; il personaggio come “un seme da gettare nel solco dell’inconscio”) ma soprattutto innumerevoli riflessioni che si accaniscono ossessivamente (mediante una rete stupefacente di riferimenti interdisciplinari) su tutti i punti fondamentali, e al tempo stesso controversi, del Sistema: la reviviscenza, la memoria emotiva, le azioni fisiche, il personaggio, l’immaginazione, l’etica.

Genio solitario e incompreso, perseguitato dal “demone dell’incompiutezza” (Meldolesi), Guerrieri si specchiò a lungo nei tormenti del grande Russo, che definisce “sperimentatore sempre insoddisfatto […] perché sente d’aver continuamente sbagliato”. Forse non è riuscito a svelare per intero i segreti della recitazione (del resto, chi potrà mai riuscirci?), e tuttavia il lascito di Stanislavskij rimane prezioso oggi per chiunque si occupi non superficialmente di teatro, ma ancora di più per ogni attore consapevole, che non voglia arrendersi alla routine del mestiere e sia interessato a quella “cura di sé” come essere umano che egli riteneva inscindibile dall’addestramento tecnico alla scena. Perché in fondo ogni esercizio teatrale è sempre anche un esercizio spirituale.

Articolo Precedente

Tenevo d’occhio Pesaro da un po’ e ora, capitale della Cultura, ha tirato fuori i suoi abiti della festa

next
Articolo Successivo

Deep Blossom, in mostra i fiori di Krauss che insegnano a riconoscere la magia delle piccole cose

next