Fermare con una moratoria l’espansione degli allevamenti intensivi e avviare un piano nazionale di riconversione agro-ecologica del settore zootecnico. Sono alcune delle novità contenute nella proposta di legge dal titolo ‘Oltre gli allevamenti intensivi. Per una transizione agro-ecologica della zootecnia’, presentata alla Camera dei Deputati da Greenpeace Italia, Isde-Medici per l’ambiente, Lipu, Terra! e Wwf Italia e sostenuta da un gruppo trasversale di parlamentari. Tra questi, i deputati Michela Vittoria Brambilla (Noi Moderati), presidente dell’intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e la tutela dell’ambiente, Eleonora Evi (indipendente, ex Alleanza Verdi Sinistra), segretaria di presidenza dell’intergruppo parlamentare per i diritti degli animali, e Carmen Di Lauro, deputata del Movimento 5 Stelle. Una proposta illustrata proprio nei giorni in cui si è molto discusso dell’emergenza smog in Lombardia e, in particolare, a Milano. Inquinamento nel quale hanno un peso importante proprio gli allevamenti intensivi. L’obiettivo della proposta di legge è creare le condizioni per un sistema produttivo basato su piccola scala e con minori impatti, che garantisca margini di guadagno più equi per i produttori e l’accesso a cibi sani e di qualità. “La nostra proposta si rivolge ai soggetti istituzionali, economici e sociali, affinché tutte le parti siano impegnate per garantire la piena tutela dell’ambiente, della salute pubblica e dei lavoratori” spiegano le associazioni, sottolineando che il testo “offre agli allevatori, soprattutto ai più piccoli, costretti a produrre sempre di più con margini di guadagno sempre più bassi, una via d’uscita che tuteli il nostro futuro e quello del pianeta”, con “un adeguato sostegno pubblico per la riconversione in chiave agro-ecologica degli allevamenti intensivi”.

Gli impatti sulla salute umana – Una scelta obbligata, anche dati gli impatti degli allevamenti intensivi sull’ambiente e le implicazioni connesse con la salute umana. Questi riguardano principalmente le emissioni di ammoniaca. Il settore zootecnico, si ricorda nella relazione illustrativa, è responsabile di oltre due terzi delle emissioni nazionali: 274mila tonnellate sulle circa 345mila imputabili all’intero settore agricolo. Ma l’inquinamento arriva anche dalle polveri fini, in particolare il PM 2,5 (gli allevamenti intensivi sono la seconda causa di formazione del particolato fine), da azoto e dai suoi derivati nel terreno e nelle acque. L’Italia è sotto procedura di infrazione da parte della Commissione europea per il mancato adeguamento alla Direttiva nitrati. E poi ci sono le emissioni climalteranti. Per quanto riguarda il PM 2,5, in particolare, secondo l’Agenzia europea dell’Ambiente, è responsabile di più di 50mila morti premature in Italia nel solo 2020, per una stima di 462.300 anni di vita persi e di quasi 47mila nel 2021. “Dati drammatici che posizionano l’Italia al primo posto per morti premature causate dall’esposizione al PM 2,5, e che comportano anche enormi costi sanitari, in particolare in zone come la Pianura Padana, con un’alta concentrazione di attività emissive, proprio come gli allevamenti intensivi” spiegano le associazioni. Eppure l’Italia si è impegnata a rispettare una serie di target in materia ambientale, alcuni dei quali riguardano particolarmente da vicino le attività zootecniche. La Direttiva NEC (National Emission Ceiling) impegna il Paese a diminuire le emissioni di ammoniaca del 16% a partire dal 2030 e il PM2,5 del 40%, rispetto ai livelli del 2005.

La proposta di legge: dalla moratoria al piano nazionale – Nella proposta di legge, una definizione di allevamento intensivo basata su quella fornita dal testo di revisione della Direttiva sulle emissioni industriali, concordato dalle Istituzioni europee, che stabilisce come soglia di densità massima, sotto la quale un allevamento può considerarsi ‘estensivo”, la densità di due Unità di Bestiame Adulto (UBA) per ettaro di Superficie Agricola Utilizzata. Il testo prevede che vengano definite “modalità e criteri per la riorganizzazione produttiva degli allevamenti intensivi” e vengano riconosciute adeguate risorse economiche sia per la transizione degli allevamenti tradizionali, sia per il sostegno delle aziende che già adottano buone pratiche agroecologiche. Sono stabiliti finalità, tempi e modalità di elaborazione di un Piano nazionale di riconversione del settore zootecnico, “individuando alcuni principi cardine, come quello della densità zootecnica territoriale”. Si prevede, inoltre, l’istituzione di un Tavolo di partenariato che comprenda gli attori economici, sociali ed Agenzie ed Enti di ricerca istituzionali, chiamati a collaborare alla redazione del Piano e alla sua implementazione. Inoltre, le associazioni propongono che, al momento di entrata in vigore della legge, vengano sospese le autorizzazioni per l’apertura di nuovi allevamenti intensivi e per l’aumento del numero di animali allevati negli allevamenti intensivi già esistenti. Sono esclusi dalla moratoria i piccoli allevamenti che praticano il pascolo all’aperto. L’articolo 6, infine, prevede l’istituzione del fondo nazionale per la riconversione del settore zootecnico “per supportare le azioni derivanti dall’approvazione della legge e, in particolare, sostenere le aziende nella riconversione in chiave agroecologica delle pratiche zootecniche”.

L’attuale sistema produttivo – Una rivoluzione rispetto al sistema attuale. Come si ricostruisce nella relazione illustrativa della proposta di legge, infatti, oggi l’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce nelle casse del 20% dei beneficiari. Un sistema che penalizza le piccole aziende e favorisce quelle più grandi: secondo i dati Eurostat l’Italia ha perso oltre 320mila aziende in poco più di 10 anni (tra il 2004 e il 2016): un calo del 38% tra le ‘piccole, a fronte di un aumento del 21% delle aziende ‘molto grandi’ e del 23% di quelle ‘grandi’. “La zootecnia intensiva può essere economicamente vantaggiosa per le aziende grandi e molto grandi, ma la sua elevata dipendenza da input esterni (energia, mangimi, acqua) la rende particolarmente fragile – si legge nel testo – così come le condizioni di allevamento (tanti animali geneticamente simili rinchiusi in spazi ristretti) la rende vulnerabile alle sempre più frequenti epidemie”. Il grande numero di animali allevati in modo intensivo nella Penisola (più di 700 milioni in un anno) richiede un grande uso di risorse, spesso in competizione con quelle utilizzabili per il consumo diretto umano. Circa due terzi dei cereali commercializzati in Europa, di fatto, si trasformano in mangime, e circa il 70% dei terreni agricoli europei sono destinati all’alimentazione animale, basata principalmente su coltivazioni come il mais, che richiedono un grande uso di acqua, anche questa risorsa sempre più scarsa.

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