“Oltre gli allevamenti intensivi”, ecco la proposta di legge: “Il 70% dei terreni agricoli è usato per i mangimi. E il mais richiede moltissima acqua”
“Serve una transizione ecologica del nostro comparto zootecnico. O la facciamo partire subito, oppure il primo a soccombere sarà il nostro stesso settore”. Una proposta di legge, ribattezzata “Oltre gli allevamenti intensivi” (sostenuta da esponente di diversi partiti di centrosinistra, M5s, Pd, Alleanza Verdi-Sinistra, ma anche da Vittoria Brambilla di Noi Moderati) è stata presentata questa mattina in una conferenza stampa presso la Camera dei Deputati da Greenpeace Italia, ISDE – Medici per l’ambiente, Lipu, Terra! e WWF Italia.
Le associazioni rivendicano l’urgenza, di fronte a “eventi climatici estremi sempre più frequenti” e alle pesanti ricadute sulla qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo”, sia necessaria “la ricerca di una nuova efficienza alimentare che prediliga produzioni a più basso consumo di risorse e con minori impatti ambientali, sociali e sanitari”. La proposta di legge, spiegano, punta a “rendere protagoniste le piccole aziende agricole zootecniche, incoraggiando la transizione ecologica di quelle grandi e medie attraverso un piano di riconversione del sistema zootecnico italiano finanziato con un fondo dedicato e prevedendo nell’immediato una moratoria sull’apertura di nuovi allevamenti intensivi e all’aumento del numero di animali allevati in quelli già esistenti.
Come spiega anche Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia, “si tratta di una normativa che offre agli allevatori, soprattutto ai più piccoli, costretti a produrre sempre di più con margini di guadagno sempre più bassi, una via d’uscita che tuteli il nostro futuro e quello del pianeta”. Anche perché, continua, “così non si può più andare avanti: l’enorme numero di animali allevati in modo intensivo nel nostro Paese, più di 700 milioni all’anno, richiede un grande uso di risorse, spesso sottratte al consumo diretto umano: due terzi dei cereali commercializzati nell’Unione Europea diventano mangime e circa il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale, principalmente per coltivazioni come il mais che richiede tantissima acqua, una risorsa sempre più scarsa”
“Questa è una mano tesa al mondo agricolo, in una fase di sofferenza, per dire, fermiamoci e ragioniamo insieme sul futuro”, aggiunge Fabio Ciconte, direttore di Terra”, che rivendica come “il lascito delle ‘proteste dei trattori’, cavalcate in modo bieco dalle destre, non cambierà nulla per gli agricoltori, né un sollievo in termini economici, né cambierà il modo in cui il loro prodotto sarà venduto sottocosto. Serve tornare a ragionare su modelli di piccola produzione. Una battaglia da fare da destra e sinistra sarebbe quella di riconvertire i soldi che la Pac (la Politica agricola comune) destina all’agricoltura, perché all’80% degli agricoltori vanno soltanto degli spicci”.
Un sistema, ricordano le associazioni, che di fatto penalizza le piccole aziende e favorisce quelle di maggiori dimensioni: secondo dati Eurostat, in poco più di dieci anni (tra il 2004 e il 2016) l’Italia ha perso oltre 320 mila aziende, ha assistito a un calo del 38% delle aziende più piccole, a un aumento del 23% di quelle più grandi e del 21% di quelle molto grandi. Per questo, insistono, serve una svolta per “tutelare la salute pubblica riducendo gli impatti degli allevamenti intensivi, a partire dalle zone a più alta densità zootecnica; così come salvaguardare le risorse naturali a vantaggio della sicurezza alimentare” E ancora “contribuire al rispetto dei target in materia di clima, biodiversità e inquinamento, tutelare i piccoli allevamenti virtuosi, i diritti delle lavoratrici e lavoratori; il benessere animale”.
Eppure, sono consapevoli le associazioni, le forze di centrodestra al governo in Italia e a rischio exploit alle prossime Europee in tanti Stati Ue, da tempo assaltano il Green Deal, già ormai in gran parte smontato, cercando di frenare tutta la transizione ambientale. Tradotto, il clima politico è tutt’altro che favorevole: “Eppure, se non si prendono in carico della necessità di mettere in pratica la transizione, si assumeranno la responsabilità”, avvertono le associazioni. La trasformazione costa, perché è vero che questo modello garantisce cibo a poche persone nel mondo, ma a prezzi che sono più bassi di quelli che si realizzerebbero con un modello basato sulla qualità”, ha avvertito il deputato Pd Andrea Orlando, presente all’iniziativa, insieme alle colleghe dem Chiara Gribaudo, Carmen Di Lauro (M5s) ed Eleonora Evi (Avs). Per l’ex ministro la questione fondamentale quindi “è chi paga quella differenza? Se la pagano i consumatori si rischia di produrre diseguaglianze. La dovrebbero pagare i grandi soggetti che si sono rafforzati e arricchiti dalle dinamiche di globalizzazione: piattaforme e grandi soggetti di intermediazione finanziaria”. “Penso sia una brutta notizia che si stia ragionando di fare degli eurobond per finanziare l’industria militare, mentre un anno fa, durante il Covid e nei mesi precedenti, ragionavamo di eurobond per finanziare la transizione ecologica”, ha concluso l’esponente dem.
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