Da una parte il veto degli Stati Uniti alla risoluzione presentata dall’Algeria a nome degli Stati arabi in cui si chiede un immediato cessate il fuoco umanitario. Dall’altra il testo degli Usa in cui Washington propone per la prima volta un cessate il fuoco temporaneo, esortando Israele a non procedere con l’annunciata invasione di terra a Rafah, bruciato dal veto della Russia. Così alle Nazioni Unite, per effetto dei veti incrociati, viene polverizzata di nuovo qualsiasi remota possibilità di una sospensione delle ostilità nella Striscia di Gaza. Le sfumature dei rispettivi testi diplomatici nascondono parecchia sostanza, ma il risultato è che a rimetterci è ancora la popolazione civile che si trova nelle aree delle operazioni militari di Israele, nelle quali l’Onu stessa ha sospeso la distribuzione degli aiuti alimentari per questioni di sicurezza poiché i camion vengono sostanzialmente assaltati. Per Hamas il voto degli Stati Uniti è il “via libera” a Israele per compiere “ulteriori massacri“.

Su cosa si è di nuovo incagliato, dunque, il consiglio di sicurezza dell’Onu? Il testo dell’Algeria (membro temporaneo) è stato contestato dagli Stati Uniti perché rischierebbe di interferire negli sforzi per ottenere il rilascio degli ostaggi di Hamas. “Gli Usa non potevano sostenere la risoluzione messa ai voti dal Consiglio di sicurezza perché ritengono che potesse minare i delicati negoziati in corso e che non sia il momento giusto per un cessate il fuoco permanente a Gaza“, ha spiegato il coordinatore del consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby. Il “cessate il fuoco immediato – hanno spiegato ancora gli americani – darebbe copertura a Hamas per non rilasciare tutti gli ostaggi”. In più, come ha rilevato l’ambasciatrice al Palazzo di Vetro Linda Thomas-Greenfield, “la condanna di Hamas dovrebbe essere contenuta in ogni risoluzione Onu su Gaza”, anche se a voce, nelle dichiarazioni di voto, si sono espressi in questo senso quasi tutti i suoi colleghi in Consiglio di Sicurezza. Thomas-Greenfield ha aggiunto che “ogni vita conta” a Gaza ed è per questo che “Washington è al lavoro sul campo 24 ore su 24 e sette giorni su sette” per arrivare a una soluzione: “Nessun altro lo sta facendo”, ha aggiunto l’ambasciatrice”.

Alla fine la risoluzione è stata bocciata con il veto degli Stati Uniti e l’astensione del Regno Unito, la cui posizione sul tema Medio Oriente è meno aderente alla linea americana (e progressivamente si è registrata una significativa divaricazione nei toni tra Washington e Londra), ma oggi ha ribadito all’Onu che la precondizione per un cessate il fuoco è la formula “Ostaggi fuori e aiuti dentro“, alla luce della quale l’ambasciatrice britannica Barbara Woodward ha definito “cruciali” i negoziati in corso al Cairo. Si è detto “deluso” dal risultato il rappresentante permanente della Cina Zhang Jun che ha esortato il Consiglio di sicurezza ad “agire rapidamente” per fermare la carneficina in Medio Oriente. “Sono gli Stati Uniti che bloccano tutto” ha ribadito Zhang. Da parte sua la Russia ha parlato di “cinismo” degli Usa.

La conferma che tutto “è bloccato” arriva rispetto alla risoluzione degli Stati Uniti che già da ora sembra avere il destino segnato, visto che Mosca ha annunciato il suo veto. Il testo di Washington Linda Thomas-Greenfield prevede che il Consiglio di sicurezza “sottolinea il proprio sostegno a un cessate il fuoco temporaneo il prima possibile, basato sul rilascio di tutti gli ostaggi”. Inoltre “stabilisce che, nelle circostanze attuali, una grande offensiva di terra su Rafah”, la città nel sud della Striscia di Gaza dove si sono rifugiati oltre un milione di profughi, “comporterebbe ulteriori danni ai civili e il loro ulteriore sfollamento, che avrebbe gravi conseguenze e implicazioni per la pace e la sicurezza regionale”. Si “sottolinea”, dunque, che “un’offensiva di tale portata non dovrebbe avere luogo nelle circostanze attuali”. Il punto successivo, inoltre, “rigetta ogni ulteriore tentativo di deportare forzatamente la popolazione civile a Gaza, in violazione del diritto umanitario internazionale“.

Non è detto che la bozza sarà discussa o votata nella seduta di oggi. A maggior ragione dopo che è divenuto noto che raccoglierebbe il veto della Federazione Russa. La proposta degli Usa “non è un’alternativa praticabile” ha detto il rappresentante permanente di Mosca all’Onu, Vasily Nebenzya. “Washington è in cattiva fede, vuole solo prendere tempo” dice Nebenzya dopo il veto Usa alla risoluzione araba. L’ambasciatore russo sottolinea che il testo americano “non chiede un cessate il fuoco immediato, solo una tregua temporanea e solo quando le condizioni saranno mature”.

Alle Nazioni Unite hanno parlato anche i rappresentanti di Israele e Palestina. Il concetto di cessate il fuoco “non è una magica soluzione” o “una pallottola d’argento” alla crisi a Gaza, ma una “premessa sbagliata” che consentirebbe esclusivamente “la sopravvivenza di Hamas”, per il rappresentante israeliano Gilad Erdan. “Sarebbe una condanna a morte per molti israeliani” aggiunge. Riyad Mansour, osservatore della Palestina al Palazzo di Vetro, dichiara invece che “Israele persiste nel massacro a dispetto degli appelli della comunità internazionale”. Mansour ha evocato i “4mila civili palestinesi morti a Gaza negli ultimi venti giorni” da quando il Consiglio di Sicurezza si è riunito l’ultima volta alla fine di gennaio per un cessate-il-fuoco immediato.

Martedì il World Food Programme, l’agenzia Onu per l’assistenza alimentare, ha annunciato in una nota la sospensione delle consegne di aiuti nel nord della Striscia, denunciando assalti ai propri mezzi da parte della popolazione. “La decisione non è stata presa alla leggera, poiché sappiamo che significa che la situazione lì peggiorerà ulteriormente e che sempre più persone rischieranno di morire di fame”, si legge nel comunicato. Intanto proseguono le negoziazioni al Cairo: martedì una delegazione israeliana di alto livello è arrivata a bordo di un aereo privato dall’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv. Nella capitale egiziana è giunto anche Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas in esilio, che guiderà la propria delegazione insieme al numero due del gruppo a Gaza, Khalil al-Hayya: la trattativa proseguirà a oltranza con l’obiettivo di chiudere un accordo prima del Ramadan (il mese sacro dei musulmani quest’anno inizia il 10 marzo). Citando fonti anonime della sicurezza israeliana, il quotidiano saudita Elaph ha riferito che Yahya Sinwar, il 61enne leader di Hamas a Gaza, è fuggito di recente in Egitto tramite tunnel sotterranei: l’informazione però è stata smentita dalle Idf (le forze armate dello Stato ebraico), che affermano di non avere informazioni in merito.

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