Mentre ci avviciniamo alla conclusione del secondo anno di guerra tra Russia e Ucraina, da Mosca arrivano altre notizie che lasciano poco spazio alla speranza di un progressivo indebolimento della capacità russa di sostenere i costi dell’offensiva. Un’analisi del Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (Crea) condivisa in esclusiva con la Cnn evidenzia come il Cremlino disponga oggi di una liquidità senza precedenti depositata nelle casse statali. Frutto principalmente di 37 miliardi di dollari, incassati dalla vendita all’India del petrolio che prima finiva in Europa (e che in una certa misura ci torna passando però appunto dall’India). Secondo lo studio, sottolinea l’emittente statunitense sul suo sito, parte del greggio è stato raffinato dall’India e poi è stato esportato anche negli Stati Uniti sotto forma di prodotti petroliferi per un valore di oltre un miliardo di dollari.

L’India ha aumentato di 13 volte rispetto ai livelli prebellici le sue importazioni di greggio russo che arriva nel paese asiatico a sconto rispetto ai prezzi di mercato. Qui viene raffinato e reindirizzato verso l’Occidente. Altro grande acquirente di petrolio russo è stata la Cina, in maggior misura però ad uso interno. Sebbene le vendite di greggio russo all’India non siano soggette a sanzioni e siano del tutto legittime, un esame delle rotte marittime suggerisce che questo enorme volume di spedizioni potrebbe coinvolgere la cosiddetta flotta ombra di petroliere, creata appositamente da Mosca per cercare di coprire l’identità dei suoi partner commerciali e massimizzare i profitti. L’idea di Usa e Ue era quella di spostare i margini della raffinazione dalla Russia all’India ma non pare che questo si traduca in danni finanziari significativi per Mosca.

Emerge dunque un altro segnale di come l’effetto delle sanzioni sia stato fortemente sovradimensionato dai governi occidentali. Diversi i leader ed economisti che avevano promesso un tracollo dell’economia russa nel giro di pochi mesi, se non di settimane, grazie a queste misure. Il Fondo monetario internazionale ha recentemente rivisto al rialzo le previsioni della crescita del Pil di Mosca che, nel 2024, è attesa essere almeno doppia di quella della zona euro. Certamente le spese per lo sforzo bellico incidono ma è chiaro che non sta andando come ci si aspettava. Secondo quanto scrive il sito Eurointelligence alla base di questo fraintendimento potrebbe esserci anche una debole comprensione della realtà dell’economia russa le cui dimensioni, se si guarda ai valori reali e non a quelli tradotti in dollari, sono paragonabili a quelle di Germania o Giappone, e non certo a quelle della Spagna.

Inoltre i precedenti insegnano, quello dell’Iran in particolare, come le sanzioni producano certamente effetti, soprattutto sulla vita quotidiana della popolazione, ma quasi mai quelli desiderati e come tendano a ripercuotersi, in parte, anche a danno di chi le eroga. Se si considera che i due terzi dei paesi del mondo non aderisce all’impianto sanzionatorio contro Mosca, e tra questi nessuno dei paesi Brics tra cui Cina, Brasile e India, si capisce come la Russia disponga di ampi margini per adattare la propria condizione al nuovo contesto. E, per ora, pare ci stia riuscendo. Sabato scorso la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha detto che il prossimo di pacchetto di sanzioni contro la Russia sarà focalizzato sui paesi che fanno triangolazioni commerciali a favore di Mosca. Difficile attendersi grandi cambiamenti.

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