La grande acciaieria di Taranto piomba di nuovo nell’incertezza e con lei 20mila lavoratori. Gli ultimi negoziati con ArcelorMittal sono finiti in un nulla di fatto. E quindi Invitalia, il socio pubblico finanziario e minoritario, ora chiede al governo di ricorrere all’amministrazione straordinaria per Acciaierie d’Italia. In sostanza è praticamente certo il secondo commissariamento dell’azienda che gestisce lo stabilimento nel giro di soli 9 anni. La conferma arriverà molto probabilmente nel tardo pomeriggio di lunedì, quando sono convocati a Palazzo Chigi i sindacati dei dipendenti dell’ex Ilva e i rappresentanti dell’indotto. L’istanza di amministrazione straordinaria è stata inviata al ministero, spiega il socio pubblico di Acciaierie in una nota che è anche in parte un atto d’accusa, dopo aver tentato ogni strada col socio privato e “preso atto dell’indisponibilità di quest’ultimo a contribuire a garantire la continuità aziendale o a sciogliere la joint venture in modo equilibrato e conforme alle normative vigenti anche di fonte europea nell’ambito di una situazione di crisi non dipendente dalla volontà né da responsabilità gestionali della parte pubblica”. Va ricordato che tra lavoratori dello stabilimento e indotto si tratta di circa 20mila lavoratori. La strada era segnata ormai da giorni se non da settimane. La decisione di Invitalia è stata d’altra parte “imposta” da una situazione finanziaria ormai allo stremo, con l’esperto indipendente del tribunale che aveva chiarito come a fine febbraio, senza soluzione, sarebbe stata a rischio la continuità produttiva. E fermare l’Ilva per un giorno vuol dire sostanzialmente fermarla per sempre.

Formalmente ora il ministero delle Imprese dovrà dire sì o no alla richiesta di Invitalia e poi il tribunale dovrà dire la sua: solo un colpo di scena imprevedibile potrà evitare il commissariamento. Subito dopo il comunicato di Invitalia, per esempio, il management di Acciaierie (cioè Mittal) ha comunicato di aver depositato domanda di concordato con riserva, “con richiesta di misure protettive”, che è un modo per stoppare l’iter avviato da Invitalia (e prendere altro tempo). Tuttavia il decreto che il governo ha già preparato dovrebbe vanificare questo tentativo.

Era già fallita davanti ai giudici una composizione negoziata della crisi, cioè un accordo tra i soci. In sostanza questa richiesta di Invitalia è un punto di non ritorno e l’acciaieria pugliese deve ripartire per l’ennesima volta da zero. L’intervento del commissario o dei commissari (probabile che si tratti di una terna, come già successo in passato) estrometterà Mittal dal controllo dell’azienda e la dovrà traghettare fuori dalla crisi finanziaria e trovare un nuovo partner industriale. Il problema più immediato sarà il blocco dei crediti che coinvolgerà più da vicino le aziende dell’indotto.

Proprio oggi il ministro Adolfo Urso aveva sottolineato che “l’investitore straniero che guida l’azienda, e che ha la maggioranza delle azioni, non intende mettere risorse nell’azienda”. “È quindi chiaro – aveva aggiunto Urso – che se colui che guida l’azienda, colui che ha la maggioranza azionaria e che dovrebbe essere il partner industriale di un socio pubblico, un socio finanziario minoritario, che è Invitalia, non intende investire sull’impresa, io credo che sia giusto che il Paese si riappropri di quello che è il frutto del lavoro, del sacrificio di intere generazioni“.

Non era in forse che il governo volesse ArcelorMittal fuori dall’ex Ilva. Si è trattato nelle ultime settimane sulle modalità dell’uscita. Questo era l’obiettivo da definire. Per evitare l’amministrazione straordinaria sarebbe stato necessario che il gruppo franco-indiano decidesse di cedere la propria quota ad un altro acquirente. Che sciogliesse la joint venture. E sembra, a sentire le indiscrezioni, che l’interesse di acquirenti esterni non sarebbe mancato. Ad esempio quello del magnate ucraino Rinat Akhmetov, patron di Metinvest, che controllava l’Azovstal di Mariupol distrutta dai russi e che ha acquisito lo stabilimento dell’ex Lucchini a Piombino. Un’acquisizione impegnativa come quella dell’ex Ilva sarebbe dovuta passare per una due diligence, cioè un’esame attento di dati, produttività, dipendenti, commesse, magazzino, passitività. Un tema, quello dell’accesso ai dati, che è apparso complicato anche nel ping pong che Acciaierie d’Italia ha avuto con la Sace sull’applicazione del decreto per l’attivazione di garanzie per le società dell’indotto. Ma sul tappeto del confronto ci sarebbero stati anche altri nodi, che si è tentato di sciogliere per evitare che il braccio di ferro possa finire – come in parte è già accaduto – davanti ad un tribunale.

“Nell’incontro di domani con il governo – dice all’agenzia Ansa il segretario Fim Cisl Roberto Benaglia – ci aspettiamo soluzioni definitive da varare e attuare già da martedì e non ulteriori analisi, rinvii o nuovi approfondimenti”. I sindacati vedono una situazione ulteriormente deteriorata dopo l’ultimo incontro di un mese fa. “Queste settimane hanno visto il governo cercare ulteriori soluzioni – aggiunge la Fim Cisl – Ma il confronto ulteriore con i Mittal non ha aiutato la situazione. Per noi è finito il tempo dei capricci di una multinazionale e c’è solo da garantire il rilancio dell’azienda e soprattutto, di salvare la continuità produttiva e l’occupazione che per noi sono fondamentali”.

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