Con 93 voti favorevoli e 61 contrari, l’Aula del Senato approva in via definitiva il ddl di ratifica dell’accordo Italia-Albania sui migranti che prevede l’apertura di due centri in territorio albanese, per accogliere 3.000 persone. Il via libera è stato arrivato tra gli applausi della maggioranza, che parla di “accordo col quale il governo Meloni ridisegna una nuova politica per l’immigrazione”. Dure le opposizioni, che denunciano le possibili violazioni dei diritti umani e parlano di “pura propaganda” e di “spot elettorale“, perché, è stato detto in Aula, “si spendono 650 milioni per costruire e gestire due centri con capienza massima di 3.000 persone a fronte delle 157mila sbarcate nel 2023”. “Una scelta che spinge il Paese su una strada di disumanità, deterrenza ed esternalizzazione delle responsabilità” , ha dichiarato il portavoce di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi Sinistra, Angelo Bonelli.

Con l’approvazione parlamentare arriva anche la bocciatura della Conferenza episcopale italiana (Cei), l’assemblea dei vescovi. “673 milioni di euro in dieci anni in fumo per l’incapacità di costruire un sistema di accoglienza diffusa del nostro Paese, al 16° posto in Europa nell’accoglienza dei richiedenti asilo rispetto al numero degli abitanti”, è il duro commento di mons. Gian Carlo Perego, presidente della Commissione per le migrazioni della Cei e di Migrantes. “673 milioni di euro veramente ‘buttati in mare‘ per l’incapacità di governare un fenomeno, quello delle migrazioni forzate, che si finge di bloccare, ma che cresce di anno in anno”. Altrettanto netto il commento di Emergency: “L’accordo rischia di provocare delle violazioni di diritti umani e disparità di trattamento tra chi approda in Italia e chi in Albania. E’ impraticabile l’idea di uno screening fatto in mare tra migranti destinati ai due centri in Albania e persone vulnerabili”, che rimarrebbero a bordo mentre tutti gli altri sbarcherebbero e dovrebbero poi affrontare anche il viaggio verso l’Italia. La ong ha puntato il dito anche contro la spesa: “Per la duplicazione di uffici e strutture, per la costruzione e la gestione dei due centri, per una sorta di indennità da versare all’Albania e per la spola delle navi italiane tra le due sponde dell’Adriatico, risorse che potrebbero essere usate per un’accoglienza dignitosa, progetti di cooperazione internazionale nei Paesi di origine e per creare vie legali di accesso in Europa”.

I centri in Albania, un centro per il rimpatrio e un hotspot per le procedure di frontiera accelerate di esame delle domande d’asilo, potranno contenere contemporaneamente un massimo di 3.000 persone. II ddl di ratifica approvato in Senato ha quantificato anche la spesa del Cpr in ben 673 milioni nei 10 anni previsti per la durata dell’accordo. Il Cpr sarà a Giader, 20 chilometri nell’entroterra. Il trasporto, dal Centro di approdo nel porto di Shengjin al Cpr, sarà effettuato dall’Italia, che provvederà anche alla sicurezza interna ai due Centri, mentre all’Albania è affidata la sicurezza esterna. Quanto all’hotspot, una volta effettuato l’esame delle domande, sia i migranti che hanno diritto alla protezione internazionale sia quelli che devono essere “respinti” nel proprio Paese, dovranno essere trasportati in Italia. Ancor più delicato il tema delle persone vulnerabili. Nel dibattito in commissione, sia alla Camera che al Senato, e poi Aula, il governo, con il viceministro Cirielli, ha detto che in Albania non saranno inviati i migranti “vulnerabili” (minori, minori non accompagnati, donne incinte, disabili fisici e psichici, anziani, vittima di tratta e di tortura, ecc). Tuttavia, gli emendamenti delle opposizioni al ddl di ratifica che esplicitavano nella legge questo principiosono stati bocciati dalla maggioranza. Il governo ha poi sostenuto che la “scrematura” tra “vulnerabili” e non, avverrà sulle stesse navi italiane che avranno soccorso i migranti in mare. Ipotesi che non ha ancora trovato spiegazioni soddisfacenti in merito all’effettiva possibilità di tutelare i diritti umani delle persone soccorse.

Al netto della ratifica parlamentare, resta aperta la questione della legittimità dei trattenimenti per le procedure di frontiera accelerate, che il cosiddetto decreto Cutro del governo applica a tutti coloro che provengono da Paese terzo considerato sicuro e per questo avrebbero ridotte possibilità di ottenere la protezione internazionale. L’esigenza di valutare ogni caso singolarmente, come impone la direttiva europea 33/2013, l’ottobre scorso ha motivato le mancate convalide del trattenimento di alcuni tunisini nell’hotspot di Pozzallo, in Sicilia. Alle ordinanze dei giudici di Catania si è opposto il ministero dell’Interno. Le sezioni unite della Cassazione hanno confermato i dubbi e passato la palla alla Corte di giustizia europea. Con due ordinanze interlocutorie è stato chiesto alla Corte di esprimersi sulla garanzia finanziaria di circa 5mila euro che un richiedente asilo sarebbe obbligato a versare per evitare il trattenimento in un centro dove attendere l’esito della domanda di protezione. La materia è sempre di competenza della direttiva 33/2013 e la Corte potrebbe esprimersi più in generale sul trattenimento che, dice la normativa, è ammesso solo “ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso”. Il pronunciamento della Corte e il successivo giudizio della Cassazione sarà determinante anche per le procedure di frontiera che l’Italia intende operare, sotto la sua giurisdizione, in Albania.

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