La chiamano neve cocomero o neve rossa, per il suo colore rosato. Ma di romantico ha ben poco: la sua crescente diffusione, causata da un’alga, sta contribuendo alla fusione dei ghiacciai soprattutto nordamericani, come denuncia un recente studio. L’alga non è una novità assoluta, visto che la “neve rossa” è stata osservata già un paio di secoli fa. Ma oggi prolifera maggiormente, in particolare nella zona nordoccidentale del Nordamerica. È quanto emerge da una ricerca pubblicata a novembre su Science Advances. Basandosi su mappe satellitari del periodo 2019-2022, gli autori concludono che in una stagione di fusione i ghiacciai avevano fino al 65 per cento della superficie ricoperta dalla fioritura delle alghe; secondo le loro stime, questa copertura aveva causato ben 3 cm di acqua di fusione sulla superficie del ghiacciaio.

Una normale presenza
“Esistono in natura formazioni uni- o pluricellulari adattate a vivere in condizioni estreme come nevai e ghiacciai. Sono presenze biologiche del tutto normali”, chiarisce Giulio Betti, climatologo e meteorologo che opera al centro Lamma Toscana e al Cnr di Sesto Fiorentino. Rientra in questo ambito la Chlamydomonas nivalis – per semplicità alga nivale – che è responsabile della neve cocomero e che per l’appunto vive nei ghiacciai, “soprattutto nella zona delle Montagne Rocciose, in Nordamerica, ma anche del Polo Nord e di parte dell’Antartide”, precisa il climatologo. Perché, detto per inciso, i ghiacciai non sono inerti pezzi di ghiaccio alla mercé delle precipitazioni atmosferiche. “Ospitano tra l’altro batteri, insetti e lieviti, e costituiscono quindi un ecosistema vivo e ricchissimo”. E proprio in questo sistema vive l’alga nivale, un’alga verde dotata di un pigmento rosso vivo.

Un ciclo spezzato
“In inverno, l’alga nivale resta dormiente sotto il ghiaccio e la neve. In primavera, quando cominciano a fondersi le nevi, si risveglia e comincia a germinare, formando uno strato rosa sulla superficie del ghiacciaio”. Questa colorazione serve a proteggere il cloroplasto – l’organulo presente in alcuni tipi di alghe e addetto alla fotosintesi clorofilliana – dall’eccesso di calore e dai raggi ultravioletti che, ricordiamolo, in montagna sono più intensi a causa della rarefazione dell’atmosfera. È dunque questo il ciclo naturale dell’alga, che viene però interrotto per il fatto che gli inverni sono più caldi. “Rispetto al passato, la fusione dei ghiacciai è accelerata dal cambiamento climatico e dal riscaldamento globale. Si allunga il periodo in cui l’acqua aumenta e l’alga prolifera di più, andando a scurire maggiormente la superficie del ghiacciaio”. E invece di restare dormiente, l’alga è attiva anche in inverno, non senza conseguenze. “La copertura rossa provocata dalla fioritura delle alghe scurisce la superficie dei ghiacciai, l’albedo totale (che misura la capacità di riflessione della radiazione, ndr) cala e con esso la superficie riflettente”. Così la copertura scura attira maggiormente i raggi solari, che fanno fondere la neve non in primavera e in estate, come sarebbe normale, ma ancora in pieno inverno.

Un circolo vizioso
Si instaura dunque un ciclo negativo e pericoloso, in cui il cambiamento climatico porta a un rialzo delle temperature, con conseguente fusione dei ghiacci e delle nevi. L’alga che vive in questi ecosistemi prolifera maggiormente perché riceve più acqua di fusione (necessaria per il proprio nutrimento) e non sente il bisogno di rispettare il periodo di riposo. In questo modo ricopre di più i ghiacciai con i suoi pigmenti rosa, che portano via spazio all’albedo e favoriscono la fusione del ghiaccio. “A lungo andare, l’alga scomparirà con il ghiacciaio, con cui in un certo senso vive in simbiosi”. E così alla fine anch’essa sarà una vittima del cambiamento climatico e del riscaldamento globale, che sono in primis i responsabili della fusione dei ghiacciai. Non a caso questo fenomeno si verifica anche nelle Alpi, dove la presenza della Chlamydomonas non è stata riscontrata. In compenso si stanno succedendo estati tanto calde da essere già entrate nella storia. “Per dare un’idea, basti pensare che nelle ultime due estati i ghiacciai alpini svizzeri si sono ridotti dell’11 per cento”. Il contributo dell’alga è dunque minimo; il vero nemico è invece, ancora una volta, il cambiamento climatico.

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