Nel 1982 uscirono due film, uno italiano e uno americano, sullo stesso argomento: la fuga di un gruppo di perseguitati e le loro peripezie per sfuggire agli aguzzini che li seguivano. Quello italiano si svolge nel passato, e si riferisce ad un fatto realmente accaduto durante la seconda guerra mondiale. L’altro si svolge in un futuro distopico ambientato a Los Angeles. I fuggitivi, nel film italiano, sono contadini di un paesino toscano; nel film americano sono replicanti, macchine umane progettate per essere schiave che, alla scadenza programmata della loro esistenza, devono essere “ritirate”. Un gruppo di loro si ribella al ritiro e un cacciatore di replicanti li perseguita, uccidendoli tutti, uno ad uno.

I due film sono La notte di San Lorenzo dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, e Blade runner, di Ridley Scott. Ebbi aspre discussioni con amici cinefili perché ritenevo il film dei Taviani troppo diretto e didascalico: il messaggio era esplicito e, per me, stucchevole e scontato. Mentre il film di Scott era una fantasmagoria di situazioni, di ambiguità, di inversione dei ruoli. Il buono è davvero buono, e i cattivi sono davvero loro, i cattivi? Il tempo, credo, mi ha dato ragione: Blade Runner è un classico del cinema, mentre La notte di San Lorenzo ha perso molto del suo smalto iniziale e nessuno lo cita negli elenchi dei preferiti.

Sto sperimentando un déjà-vu di questa situazione di 41 anni fa con due film sulla condizione femminile, entrambi a favore dell’autonomia di donne che si liberano dai condizionamenti della prepotenza maschile, sviluppando al meglio le loro potenzialità, come è giusto che sia.
Uno dei due film è esplicito, con un messaggio diretto e didascalico, con un finale catartico: la sequenza di violenze maschili si risolve con il voto alle donne. Grande entusiasmo. Proprio come al tempo dei Taviani. A me verrebbe da citare Paolo Villaggio, ma temo che sarei frainteso e accusato di negare i diritti alle donne. Con acclusi anatemi. L’altro film racconta la storia dello sviluppo di un neonato cervello femminile all’interno di una donna adulta. L’ambientazione vittoriana è distopica nelle architetture, negli interni, nei costumi. Magistrale l’uso del grandangolo e sorprendente la recitazione della donna adulta-infante che durante il film cresce e matura, liberandosi dalle angherie maschili, anche con la prostituzione.

Non dovrebbe essere difficile capire che i due film sono C’è ancora domani di Paola Cortellesi e Povere creature! di Yorgos Lanthimos. Il messaggio è identico, ma la differenza nel modo di porgerlo è abissale. I film italiani recenti, per come li percepisco io, sono abbastanza così: quelli “impegnati” sono didascalici, gli altri non so, perché di solito non mi attirano; con eccezioni mirabili, sempre per me, tipo Freaks out di Gabriele Mainetti, e l’inaspettato Ammore e malavita dei Manetti Bros. che precipitano nello scontato con i due Diabolik: il primo finisce con una battuta memorabile: Diabbbolik, maledetto, ti prenderò!!! Per il secondo ho seguito il consiglio di Totò:… desisti!

Povere creature! non è stato girato a Hollywood (anche se i paesi di produzione sono gli Usa, il Regno Unito e l’Irlanda), ma in Ungheria. Il regista e il montatore sono greci. Emma Stone è un superlativo assoluto (recita intensamente anche con i piedi), come lo è Willem Dafoe, un Frankenstein destrutturato invece che ricostruito. Ho rivisto con affetto Hanna Schygulla, musa di Fassbinder, una bellissima vecchietta dall’aria familiare, con straordinari capelli e un sottile senso dell’umorismo. Avevo visto il suo nome nel cast, ma non riuscivo a riconoscerla, a ottant’anni.

Non me la sto tirando da critico cinematografico, sono solo un cinefilo e cerco di capire perché un film mi piace e un altro no. Lo stesso vale per la musica. Certa musica mi piace e altra no: leggo le critiche e a volte trovo conferme dei miei giudizi, altre volte no. A dir la verità le critiche sono unanimi nel ritenere Povere creature! un capolavoro e la mia voglia di contraddire fatica un po’ ad essere d’accordo con la maggioranza, ma mi consolo andando controcorrente per l’opera di Cortellesi, oggetto di lodi sperticate e premiata al botteghino. Il tempo dirà la sua, come è successo per Blade Runner e La notte di San Lorenzo.

Ci sono tanti modi per raccontare la stessa storia, come ci sono tanti modi per leggerla. Il bello è che i due film che più mi sono piaciuti, in questi ultimi tempi, sono agli antipodi del modo di fare cinema. Il minimalismo ripetitivo di Perfect Days, di Wim Wenders, è quanto di più lontano ci possa essere dal barocco rococò di Povere Creature!. Il ballo di Emma Stone e Mark Ruffalo, al suono di un’orchestra da bar di Guerre Stellari, merita un posto sul podio assieme al ballo di John Travolta e Uma Thurman in Pulp Fiction. Il cinema, se fatto bene, fa uscire di casa e riempie le sale, alla faccia delle serie tv.

Nota: gli spettatori di Povere creature! si fermano all’uscita e discutono tra loro. L’ho visto due volte, una a Lecce e una a Napoli, e il dibattito spontaneo ha avuto luogo in entrambi i casi.

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