“L’Occidente sta realizzando che si può sconfiggere la Russia”. “Non succederà mai”. La guerra in Ucraina può finire “in poche settimane”: “Se veramente volete smettere di combattere, dovete smettere di fornire armi” a Kiev. Mosca non ha cominciato la guerra nel 2022: “quello è stato un tentativo per fermarla”. Tucker Carlson, trumpiano di ferro, ex presentatore di Fox News, ha trascorso due ore, sette minuti, 18 secondi con Vladimir Putin a Mosca. A dividere il presidente russo dall’istrionico volto del complottismo statunitense (che sui social ha più milioni di follower di alcune intere emittenti televisive) c’era solo un minuscolo tavolino bianco con qualche bicchiere d’acqua sopra.

“Stiamo facendo un talk show o una conversazione seria?” è una delle prime cose che Putin, ribaltando i ruoli, chiede all’americano che riderà rumoroso e poi rimarrà, per la maggior parte del tempo, col volto corrucciato e silente. Putin gli dice: “La sua istruzione è in storia, per quanto ne so. Allora per 30 secondi, le spiego avvenimenti storici”. Avvia subito una lunga lezione di storia: almeno, una versione della storia di Putin. Per parlare dell’invasione dell’Ucraina parte da Rurik, i Variaghi, il principe Oleg, la Rus’ di Kiev. “Questo in che periodo? Ho perso il conto del periodo storico in cui siamo” dice l’americano dopo dieci minuti tentando invano di interromperlo al principio di un discorso fiume che si rivelerà più un monologo. Putin allunga all’interlocutore documenti storici degli archivi. Carlson continua a chiedere: “Questo in che modo è rilevante?”. Putin però continua fino ad Hitler e la fondazione della repubblica sovietica d’Ucraina: la definisce “stato artificiale”.

Kiev: “Hanno cominciato loro la guerra nel 2014” – “Non abbiamo cominciato noi la guerra nel 2022, quello è stato un tentativo di fermarla”. “E pensa di averla fermata? Ha raggiunto i suoi scopi?” chiede l’americano. “No. Perché uno è la denazificazione”. “Che cos’è la denazificazione?”. Carlson cade in trappola e Putin continua la sua lezione di storia. “Hitler è morto, la Germania nazista non esiste più” nota, elementare, qualche minuto dopo l’anchorman. Putin non ama essere interrotto: “Mi aveva chiesto della denazificazione. Hitler è morto, ma il suo esempio vive e l’attuale presidente ucraino lo applaude al parlamento canadese”.

In Ucraina a Maidan è avvenuto “un colpo di Stato” con l’aiuto alla Cia: “Capisco, ho lavorato anche io all’Fsb (servizi segreti russi), sono stati sempre nostri oppositori. Un lavoro è un lavoro. Tecnicamente hanno fatto tutto in maniera corretta. Hanno raggiunto il loro obiettivo di cambiare governo, ma politicamente è stato un errore colossale”. Yanukovic aveva acconsentito a nuove elezioni, “allora perché il golpe? Tutto sarebbe potuto avvenire in maniera legale, senza vittime”. “Non avremmo mai alzato un dito se non fosse stato per le conseguenze sanguinose di Maidan”, continua il presidente, “la leadership americana ci ha spinto verso una linea che non potevamo superare”. “Non avremmo lasciato i nostri fratelli in questa macchina da guerra”. “Al collasso dell’Urss avevamo deciso che i confini sarebbero stati con le ex repubbliche sovietiche”, “non avevamo mai acconsentito che i nostri confini fossero con la Nato”. E poi Putin ripeterà quello che dirà molte volte: gli occidentali “ci hanno preso in giro”. Zelensky ha capito che gli Usa sosterranno chi si schiera contro Mosca. “Ha ingannato il popolo promettendo di mettere fine alla guerra” La Russia era pronta a trattare anche ad Istanbul, 15 mesi fa. Johnson aveva detto che era meglio combattere contro la Russia: “Dov’è finito?” chiede ironico il presidente.

Nord Stream e Gershkovich – Chi ha fatto esplodere il gasdotto Nord Stream, chiede il giornalista che molti (e tra loro, l’ex capo del Kkk, Duke) vedono come l’erede di Trump alla Casa Bianca. “Lei” dice scherzando Putin: “Forse lei ha un alibi, la Cia no”. Chi aveva non solo interessi nel provocare esplosioni sul fondo del Baltico, ma anche le capacità per compiere quella operazione? Lo chiede il presidente a Carlson che a sua volta lo interroga: “Perché allora non presenta le prove? Sarebbe una vittoria di propaganda”. “Nella guerra della propaganda è molto difficile sconfiggere gli Usa”, risponde Putin, “i costi sono proibitivi”.

Sul rilascio di Evan Gershkovich, il reporter 32enne del Wall Street Journal in galera in Russia, (che secondo Putin ha provato ad ottenere “informazioni confidenziali”) non ci sono “tabù”, “le agenzie dei servizi di sicurezza sono in contatto”. Non pronuncia il nome di Vadim Krasikov, agente Fsb in galera in Germania per omicidio, che Mosca vorrebbe in cambio del giornalista.

Negoziati di pace –“Zelensky ha firmato un decreto per evitare i negoziati con la Russia”. Ma per finire la guerra – gli ricorda Carlson – il dialogo avverrebbe con l’omologo Usa e chiede quando è stata l’ultima volta che ha parlato con Biden. “Non mi ricordo, perché dovrei? Ho le mie cose da fare” risponde il presidente. L’altro ride: dovrebbe ricordarselo “perché finanzia la guerra che lei sta combattendo”. Putin prosegue chiamandola “operazione militare speciale”. Con il mondo a rischio di una guerra nucleare, “perché non chiama Biden?” ribatte ancora l’americano: “Abbiamo contatti tramite agenzie” assicura Putin. Con Trump aveva “una relazione personale”. Ma la pace nel mondo non dipende da uno specifico leader, ma dalla “mentalità Usa” di “dominare ad ogni costo”.

L’allargamento della Nato – L’Ovest sapeva che con l’allargamento della Nato sarebbe tornata la guerra fredda. “L’Ovest ha paura più di una Cina forte che di una Russia forte” per il potenziale economico e demografico di Pechino. Ma “non parliamo di chi ha paura di chi” dice Putin: al collasso dell’Urss, voluto dalla leadership russa, la Russia pensava che ci sarebbe stato un modo di nazioni sorelle, “invece ci hanno preso in giro”, “la Nato si è espansa con 5 ondate di allargamento”. “Ora siamo borghesi quanto voi” è stato detto agli americani all’epoca, ma è stato Clinton a dire no a Mosca nella Nato: “Se avessimo visto qualche sincero desiderio di farci entrare, sarebbe successo. Abbiamo capito che non eravamo benvenuti”. In Europa “il genio fuori dalla bottiglia” della guerra l’hanno fatto uscire gli americani con le bombe contro i serbi, un popolo da sempre vicino ai russi. Elsin, tacciato di alcolismo, provò a spiegarlo. All’epoca Mosca non ha potuto alzare “la voce”.

L’apertura all’entrata nella Nato per Ucraina e Georgia a Bucarest nel 2008 è avvenuta “senza garanzie” per la Russia: “Dove siamo? All’asilo nido?” chiede Putin secondo cui all’epoca Francia e Germania erano contrarie, ma furono pressate dagli Usa.

Ucraina ungherese – “Ha detto ad Orban che può prendersi un pezzo d’Ucraina?” chiede Carlson. “No, non ne abbiamo mai parlato. Ma so che gli ungheresi che vivono lì vogliono tornare nella loro patria storica”. Armi e sistemi ipersonici: “li miglioriamo ogni giorno, siamo avanti a tutti”. Polonia, Lituania, altrove: “Non abbiamo interesse ad attaccare”. “Perché dovremmo farlo? È assolutamente escluso. Una guerra globale porterà tutta l’umanità sull’orlo della distruzione. ”.

“Non puoi scegliere gli Stati con cui confini, come non puoi scegliere i parenti”. Molti omaggi di Putin alla Cina che sceglie sempre “il compromesso”.

Una “non” intervista (e non è l’unico ad averci provato) – È stata più la notizia che l’intervista con Carlson sarebbe avvenuta che quello che ha effettivamente detto Putin a creare scalpore. Le notizie date dal presidente sono letteralmente non nuove: per quasi due ore il presente esiste poco, le scelte militari e politiche dell’oggi il numero uno di Mosca le fa risalire a logiche nate ormai decenni fa, se non secoli.

Poi è sempre Putin a intervistare sé stesso quando concede un’intervista e nemmeno questa è una notizia. Dell’intervista di Carslon, che in patria qualcuno chiama traditore, hanno parlato anche al Pentagono. John Kirby, portavoce sicurezza nazionale Usa, ha avvisato: “non credete a nulla di quello che dice Putin”. Musk, proprietario della piattaforma social X, ha detto il contrario: ascoltatelo.

Carlson (che nell’intervista ha definito la guerra “guerra” e a differenza di attivisti e giornalisti russi, non è finito in cella) ha presentato la sua impresa adducendo l’ipotesi che nessun altro giornalista aveva provato ad intervistare il presidente per ascoltare la “versione russa” della storia e dell’invasione che lui non ha mai condannato. Evgenya Albats, direttrice del giornale New Times Russia, che ha dovuto scegliere tra l’esilio e la prigione per continuare a scrivere, ha sintetizzato bene: “Dà lezioni di buon giornalismo da una suite da mille dollari al Ritz a Mosca”.

Quella di Carlson rimane comunque l’unica intervista che Putin ha accettato da un occidentale. Dunque il dibattito è subito cambiato: molti hanno cominciato a chiedersi se Carlson – che ha sfruttato l’intervista per lanciare la sua piattaforma personale ed è diventato ancora più popolare soprattutto dopo aver ribattuto fake news nell’era Covid- fosse un giornalista.

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