Ousmane Sylla, il ragazzo della Guinea trovato con un lenzuolo intorno al collo a una grata del Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria (Roma), poteva sfuggire a questo destino? “Probabilmente sì” dice l’avvocato Giuseppe Caradonna, che lo scorso novembre tentò – inviando la relazione di una psicologa sulle condizioni del migrante – di farlo spostare dalla struttura di Milo (Trapani) in un posto più adatto alle sue fragilità. Perché quel ventenne “particolarmente agitato e irrequieto” e dal “comportamento aggressivo e scontroso” come lo descrisse la specialista, ma che diceva di “adorare di cantare” e che aveva nostalgia di madre, fratelli e sorelle, potesse essere assegnato a una struttura che si potesse occupare meglio di lui. Il legale, che non aveva mai potuto incontrare il ragazzo e acquisire formale incarico con una nomina, aveva però tentato di aiutarlo.

Avvocato c’è chi parla di “omicidio di Stato”, lei cosa ne pensa?
Io non ho elementi per dire questo, perché dovrei conoscere le sue condizioni lì al Cpr Ponte Galeria. Io posso riferire quello che è avvenuto qui al Cpr di Trapani che è di mia diretta conoscenza. So però che la condizione dei Cpr è tale che non è adatta a ospitare persone fragili mentalmente o con problemi. Non sono luoghi adatti. Sono luoghi inumani e questo lo posso dire in maniera categoria. Credo che siano peggio del carcere per svariati motivi.

Come era venuto a conoscenza del caso?
Una nomina formale non l’ho mai potuta acquisire. Era stato indicato da una operatrice del centro per fornire assistenza legale e ho provato più volte al Cpr di Milo, ma e mi risulta anche altrove, c’erano difficoltà ad accedere ai colloqui per vari motivi: gestione, organizzazione, ispezioni e così via. Spesso bisogna tornare più volte per riuscire. Una di queste volte dopo il colloquio con due miei assistiti chiesi di parlare con Sylla, ma mi fu detto non era possibile perché il ragazzo era ingestibile e che c’erano problemi di sicurezza. Quindi non mi fu possibile neanche acquisire la nomina e capire se poteva fare richiesta di asilo. Mi dissero che dava in escandescenza e creava problemi. Era di difficile gestione. Quindi avevo chiesto la relazione alla psicologa.

Cosa è successo dopo?
Ho scritto al questore e chiesto che il ragazzo, essendo affetto da disturbi e quindi un soggetto vulnerabile, potesse essere trasferito in un luogo idoneo. Il questore mi ha risposto quasi immediatamente, ma visto che era seguito dagli operatori della cooperativa ed essendoci stata una visita dell’Asp di Trapani che avevano certificato la compatibilità della struttura sarebbe rimasto lì. La mia speranza era che avendo fatto una segnalazione, se fosse rimasto lì magari sarebbe stato seguito in maniera particolare. Le operatrici lavorano bene.

Nel centro poi c’è stato un incendio
Molti sono stati trasferiti e lui era tra quelli. Io non so a Roma in che condizioni era, ma posso solo presumere che non fossero adeguate. L’episodio sconvolgente di cui parliamo si è verificato lì.

Questo ragazzo che di fatto lei non conosceva se l’era preso a cuore
Mi sono informato, la mia attenzione è scattata anche perché era guineano. Mi sembrava strano che fosse nel Cpr dove per lo più finiscono i nordafricani. Sapevo che era molto giovane, avevo pensato che potesse formulare richiesta d’asilo. Solo dopo ho saputo che era in Italia da sei anni ed era stato in una comunità per minori a Ventimiglia, poi trasferito a Cassino. In Comune si era presentato per esprimere un disagio. Poi era stato espulso ed era finito a Milo.

Ora per la sua morte la procura di Roma indaga per istigazione al suicidio
Mi sembra un atto doveroso ed è giusto che la magistratura indaghi e verifichi anche tenendo in considerazione di quella che è stata la reazione degli altri. Evidentemente ci sono condizioni particolarmente disumane se il suicidio ha innescato quello che abbiamo visto. L’indagine è importante anche perché si faccia luce sulla condizioni del Cpr e sulla loro esistenza stessa. Queste strutture sono luoghi inumani dove i migranti sono trattenuti senza aver commessi reati. Trattenuti per mesi. Per Sylla il rimpatrio, essendo guineano e non avendo l’Italia un accordo con quel paese, non ci sarebbe stato. Sarebbe uscito dal centro. Queste persone ristrette dentro una struttura del genere ne escono più incattivite di prima e se non lo sono lo diventano. È giusto che quanto avvenuto inneschi una riflessione sui Cpr che l’attuale governo sembra voler addirittura incentivare come se fosse una soluzione al problema migratorio.

Foto di archivio

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