C’è (ancora) chi dice no. Nel calcio di oggi i “no” dei tifosi sembrerebbero per lo più ininfluenti: grida romantiche da ignorare visto che mal si conciliano con ciò che è giusto per i club, che sono aziende a tutti gli effetti. Sono lontani insomma i tempi dei laziali in piazza che evitavano la cessione di Beppe Signori al Parma, della rivolta di Firenze per Baggio (che però alla Juve ci andò lo stesso) o di “O Zico o Austria” dei tifosi dell’Udinese. Eppure con mezzi diversi dalla piazza c’è chi riesce ancora a incidere sulle scelte della società, addirittura per due volte in poco più di un anno. È il caso del Bari infatti: coi galletti che dopo essere stati con un piede e nove decimi dell’altro in Serie A si sono visti prima condannati a restare in B dal gol all’ultimo minuto di Pavoletti del Cagliari e poi costretti ad assistere a una stagione finora orribile.

Non è bastato il primo cambio di allenatore ai pugliesi: dopo Michele Mignani, che aveva racimolato dieci punti in nove partite, la svolta non è arrivata con Pasquale Marino, che con le ultime due sconfitte consecutive ha lasciato la squadra a cinque punti dalla zona playout (e cinque da quella playoff). Fatale il 3 a 0 subito dal Palermo per Marino, con la società dei De Laurentiis che aveva individuato in Fabio Cannavaro, coadiuvato dal fratello Paolo come già in Cina e nella scorsa stagione a Benevento, il tecnico cui affidare la panchina. L’ex campione del mondo e pallone d’oro era stato accostato anche al Napoli, “ammiraglia” calcistica della famiglia De Laurentiis, in questa stagione, nella fattispecie quando era allo stadio Maradona a poca distanza dal patron Aurelio nella gara persa dagli azzurri contro l’Empoli che costò la panchina a Garcia.

Ma se quella presenza fu liquidata a coincidenza, per quel che attiene alla panchina del Bari Cannavaro è stato di certo più di un’opzione: il Bari ha perso nella serata di venerdì contro il Palermo per 3 a 0 e a quel punto l’esperienza di Pasquale Marino era certamente arrivata al capolinea. Nella giornata di sabato il club era al lavoro per il sostituto: in lizza anche Moreno Longo ma era il nome di Cannavaro quello più gettonato, tant’è che ci sarebbe stato anche un incontro con i De Laurentiis e con il ds dei galletti Ciro Polito. Un nome, quello dell’ex stopper della nazionale, che tuttavia non è piaciuto alla piazza, che ha iniziato a esprimere il suo malcontento: i social sono stati letteralmente invasi da commenti contrari a quella scelta, contestando la presunta inesperienza che avrebbe cozzato con la situazione difficile del Bari, lo scorcio d’annata negativo col Benevento e la napoletanità, non certo con stupide velleità di discriminazione territoriale ma nel quadro di una insofferenza crescente per la doppia proprietà dei De Laurentiis dove il Napoli è il “core business”.

Chiaro che affidare a Cannavaro una squadra in difficoltà e con la piazza contro (una piazza peraltro calorosa, numerosa e importante) sarebbe stato un forzare la mano con un coefficiente di rischio altissimo, per il Bari e anche per Cannavaro stesso. Di qui la virata su Iachini, esperto, visti gli oltre vent’anni di carriera alla spalle tra Serie A e Serie B, non certo caldeggiato ma neppure inviso alla piazza, e magari con il fattore di aver ottenuto i migliori risultati in cadetteria proprio da subentrato (a Brescia, Genoa sponda Samp e Palermo) che fa da buon auspicio. Contorni naturalmente molto diversi, ma con il tratto comune dei tifosi che incidono sulle decisioni della società, per il caso Portanova, sempre a Bari: tredici mesi fa la società nel mercato di gennaio aveva praticamente chiuso per il prestito dal Genoa di Manolo Portanova, centrocampista, condannato in primo grado per violenza sessuale di gruppo. Sui social la levata di scudi dei tifosi baresi, che in particolare avevano preso di mira una campagna del club contro la violenza sulle donne lanciata poche settimane prima, evidenziando l’incoerenza. Risultato? La marcia indietro della società. Dopo dodici mesi e passando da ragioni più profonde a mere questioni tecniche è accaduto di nuovo: dire oggi che “il calcio è dei tifosi” è utopico, idealista. Non sempre però.

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