“Quando mi volgo indietro mi sembra di non aver mai vissuto davvero; più di ogni altra cosa rimpiango quella bambina che non ho mai potuto essere, e quella ragazza che non ha mai potuto crescere insieme alle sue compagne. È questa la ragione per cui oggi provo un grande affetto per voi genitori amorevoli che sapete accompagnare figlie e figli trans nel difficile percorso dell’affermazione di sé, e grande riconoscenza per quei pochi professionisti che hanno il coraggio di sfidare una società retrograda per fornire loro i trattamenti medici necessari”. Queste le parole di Luce che oggi ha 68 anni e insieme ad altre persone transgender adulte è allibita di fronte alla bufera contro i trattamenti per l’affermazione di genere nelle persone più giovani.

Questo accanimento che tenta di privare del diritto a una vita serena non colpisce infatti solamente le persone direttamente interessate, ma anche chi è più grande e nella sua adolescenza non ha potuto avere accesso alla tanto criticata triptorelina, il farmaco incriminato che sospende la pubertà. Chi ha fatto un percorso di affermazione di genere 10, 20, 30, anni fa sa molto bene che cosa ha significato cercare di esistere in un mondo che, ancora meno di adesso, prevedeva la persone transgender e per questo queste persone hanno condiviso con me le loro preoccupazioni rispetto alla campagna di odio in corso.

Privare le giovani persone dei sospensori della pubertà vuol dire privarle della loro infanzia e della loro adolescenza e quindi anche di una vita adulta totalmente serena.

“Io non ho avuto scelta e per essere un uomo felice ho dovuto affrontare un percorso molto lungo. Non togliete la speranza e la possibilità di essere felici fin da piccoli!”, mi dice Daniele che oggi ha 52 anni. “Fin da che ho memoria mi sono sempre sentito un maschio e volevo essere visto così anche da tutte le persone che mi circondavano. Però il mio corpo era femminile e purtroppo a quei tempi non c’era niente che io potessi fare per impedirgli di cambiare, diventando sempre più distante dal vero me stesso. Anni dopo, per riappropriarmi della mia identità e del mio corpo, sono stato sottoposto a ben 12 chirurgie. Almeno una parte di quel dolore, fisico ed emotivo, me lo sarei potuto risparmiare se avessi avuto la possibilità di accedere ai bloccanti ipotalamici”.

“Credere che questo farmaco sia portatore di sciagure è come supporre che la speranza tolga respiro alla vita” mi dice invece Edoardo. “La somministrazione di triptorelina nella mia adolescenza mi avrebbe evitato dolorose operazioni chirurgiche e salvato da profonde cicatrici sulla pelle e vertiginosi precipizi interiori. Avrei raggiunto il mio sogno di felicità molto prima, senza mai cedere il passo alla disperazione e accarezzare il suicidio. Sarei stato un cittadino modello e lo Stato mi avrebbe ringraziato per l’enorme risparmio sulla pubblica sanità”, aggiunge sempre Andrea.

E Agnese, una cara amica siciliana, conferma: “Se avessi potuto prendere i bloccanti, avrei avuto più anni per apprezzarmi. Se avessi potuto prendere i bloccanti della pubertà, la mia vita sarebbe stata certamente più serena. Da adolescente desideravo profondamente qualcosa che mi facesse essere una ragazza. E se avessi potuto essere sollevata dall’ansia del corpo che cambiava, sarebbe stato più semplice. Credo che sia importantissimo poter aver del tempo per prendere consapevolezza di ogni cosa, per questo credo oggi che la triptorelina sia essenziale”.

Al coro si aggiungono anche Isabella e Michael. “Oggi ho più di 50 anni – mi dice lei – Quando ero piccola non c’era la triptorelina, ma se avessi avuto la possibilità di averla sarebbero cambiate tante cose in meglio nella mia vita. Il benessere passa anche dal corpo che vuoi avere”. “Ho iniziato la transizione a 24 anni, nel 2016”, dice invece Michael che oggi ha 31 anni. “Sarebbe stato di grande aiuto poter iniziare la transizione prima, avendo accesso ai bloccanti. Sarebbe stato utile per la mia crescita e per il mio benessere psicologico e senza dubbio mi avrebbe aiutato ad avere più relazioni sociali”.

Poter essere se stessi e se stesse, non dover combattere ogni giorno con una società che non ti vede, che ti vuole per forza in un certo modo, che ti giudica un errore, non può che arrecare dolore e condizionare ogni aspetto della vita. “Mi mettevo la fascia per comprimere il seno sempre” racconta Christian. “Ai miei tempi non c’erano gli shop online. Andavo nelle ortopedie a prendere quelle con la chiusura a velcro. La pelle mi si incastrava in mezzo e faceva male. E questa è solo una di infinite cose che con i bloccanti mi sarei risparmiato. Con i bloccanti avrei potuto essere come ogni altro ragazzo”.

“Ai miei tempi – mi racconta ancora Luce – un’adolescente trans era costretta a nascondersi dentro se stessa. Chi non riusciva a nascondersi e proveniva da una famiglia abbiente veniva rinchiusa in clinica psichiatrica dove veniva ‘curata’ con gli elettroshock. E’ quello che fecero ad una mia amica. Quando la giudicarono ‘guarita’ la rimandarono a casa e lei, appena rimasta sola, si buttò giù dalla finestra. Per tutte le altre c’erano pugni e cinghiate, fino al momento in cui scappavano di casa per condurre l’unica vita che veniva concessa alle persone come noi: la prostituzione di strada. Io sono una di quelle che hanno potuto nascondersi e solo per questo sono ancora viva. Il prezzo è stato dover vivere in un genere che non era il mio, sentendomi in ogni momento avvolta in una caligine di tristezza e vergogna. Solo di recente ho trovato il coraggio di uscire alla luce del sole, dichiarandomi per quello che sono: una donna trans. Ora sono felice, per quanto è possibile esserlo alla mia età”.

Perché i nostri figlie e le nostre figlie devono aspettare tanto per essere felici e vivere la loro vita? Vogliamo tornare agli elettroshock e alle cinghiate?

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