Una vittoria annunciata: altri 5 anni come presidente per Nayib Armando Bukele Ortez (classe 1981) che ripete mandato come la più alta carica del Salvador, nonostante la Costituzione impedisca esplicitamente la rielezione presidenziale immediata. Un risultato schiacciante con l’85% dei voti a favore (risultato da lui stesso annunciato prima del verdetto ufficiale del Tribunale Elettorale) che ridicolizza gli altri 5 candidati alla presidenza, sancito dal voto di 6 milioni di persone nel Salvador e più di 700mila che vivono fuori dal paese.

Una valanga di preferenze (nel 2019 era stato eletto con il 53%) che dà conto della grande popolarità di Bukele, che da marzo 2022 mantiene il Salvador in uno stato di eccezione, che di fatto sospende molte libertà costituzionali. Il “dittatore più cool del mondo” – come egli stesso si era soprannominato ironicamente su X (ex Twitter) – ha incarnato il falso dilemma che porta a scegliere tra sicurezza e diritti, militarizzando il paese in una guerra frontale contro le organizzazioni criminali che lo tenevano sotto scacco. Un’operazione da lui battezzata “guerra a las pandillas” e che lo ha portato ad essere emulato e osannato in varie parti della regione latinoamericana.

Oggi le Maras (il nome con cui ci si riferisce al crimine organizzato nel Salvador) sono state disarticolate e il piccolo stato centroamericano vive un periodo inedito di un basso tasso di violenza generalizzata e di omicidi, lontano dai primi posti di queste speciali classifiche dove era stato ai vertici per anni (dove oggi spicca l’Ecuador). In carcere sono finite decine migliaia di persone, con detenzioni arbitrarie e preventive, in un contesto di terrore dove solo un tatuaggio (segni distintivi dei pandilleros, i membri della maras) o un sospetto può portare ad entrare in prigione e ricevere condanne fino a 40 anni.

Strutture come il Centro di confinamento per il terrorismo (Cecot), costruito in soli 7 mesi e già passato alla storia per essere il più grande carcere del continente americano, con una capienza massima di 40mila detenuti. Un simbolo del cambio che ha portato la bukelizzazione, una catarsi ben raccontata in questo documentario dal titolo “El Salvador de Bukele”.

Ma per Bukele il punto non era solo essere rieletto come Presidente, ma riuscire a mantenere anche il suo partito Nuevas Ideas con la maggioranza qualificata nel parlamento (come spiega lui stesso in questo video). Quella maggioranza che gli ha consentito di prorogare lo stato di eccezione, nominare ad personam il procuratore generale della nazione e scegliere i magistrati della Corte Suprema di Giustizia. Gli stessi magistrati (vicini a Bukele) che proprio nel 2023 hanno emesso una sentenza nella quale si annunciava un cambio di criterio nell’interpretazione della norma costituzionale che impediva la rielezione immediata, cambio favorevole alle aspirazioni di Bukele di correre per un secondo mandato. E così Bukele ha portato avanti la sua strategia, facendosi autorizzare una licenza (insieme al suo vicepresidente Félix Ulloa) dal congresso dei deputati (controllato dal suo partito) che ha permesso di assentarsi dall’incarico presidenziale 3 mesi prima delle elezioni. Al suo posto, come presidenta interina del Salvador (non eletta ma scelta in modo diretto da Bukele in ottemperanza dell’articolo 155 della Costituzione) la sua segretaria personale, Claudia Juana Rodríguez, che lavora con lui fin dai tempi in cui Nayib fu “solo” sindaco per due mandati (2012- 2015) del piccolo paese di Nuevo Cuscatlán, circa 8 mila abitanti.

I difensori dei diritti umani, le ong (come Cristosal che denuncia morti nella carceri, sparizioni forzate e detenzioni abusive e arbitrarie, anche di minorenni) e i giornalisti sono al centro della retorica presidenziale, colpevoli secondo il leader di Nuevas Ideas di disinformare la cittadinanza e di voler “mettere i bastoni tra le ruote” ad una rivoluzione che Bukele ha difeso solo 4 mesi fa all’Onu, in un discorso nel quale faceva il punto sulla trasformazione in pochi anni del paese centroamericano. Un mago delle reti sociali, Bukele, che è riuscito a far passare sottotraccia il fallimento dell’adozione del Bitcoin come divisa ufficiale del paese (settembre 2021) e il non decollo di Bitcoin City, progetto annunciato in pompa magna a maggio 2022 ma ancora in alto mare.

Social media usati per attaccare avversari politici, nominare cariche pubbliche e fare una campagna elettorale costante che però non pone quasi mai l’accento sui problemi economici reali del paese, dove nonostante la scomparsa delle Maras per molte persone emigrare rimane l’unica opzione. Emigrare come ha dovuto fare lo storico giornale nazionale El Faro, esule in Costa Rica, dopo minacce, ritorsioni e dopo aver scoperto di essere stato spiato dallo Stato con il sistema “Pegasus” dell’israeliana Nso group.

Con la rielezione di Bukele suonano come profetiche le parole di chi lo segnala come l’uomo della nuova era in America Latina, un caudillo moderno che ha eretto, a furor di popolo, una autocrazia militarizzata sulla rovine della desolata e maltrattata democrazia salvadoregna, dove l‘opposizione è sul bordo dell’estinzione.

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