Non c’è solo solo Ilaria Salis, l’antifascista italiana detenuta in Ungheria perché accusata di una aggressione a due neonazisti, a essere nel mirino della giustizia ungherese. Gabriele Marchesi, 23 anni, milanese, è imputato con lei nel procedimento sui presunti scontri a Budapest dell’11 febbraio 2023 in occasione del Giorno dell’onore (in cui i gruppi di estrema destra celebrano la “resistenza” dei nazisti tedeschi e ungheresi all’Armata Rossa). Anche Marchesi è accusato di aver aggredito i neonazisti: ma il giovane è agli arresti domiciliari a Milano perché destinatario di un mandato di arresto ungherese.

Budapest ne chiede la consegna, ma i giudici italiani hanno più volte rinviato il procedimento in attesa che le autorità ungheresi, come richiesto ai primi di dicembre, fornissero chiarimenti su una decina di quesiti che riguardano le condizioni detentive, lo Stato di diritto e l’indipendenza della magistratura nel Paese. Relazioni arrivate martedì. La prossima udienza davanti alla Corte milanese è fissata per il 13 febbraio. Proprio per evitarne la consegna la 39enne aveva scritto il memoriale sulle condizioni di detenzione in Ungheria che gli avvocati del giovane hanno depositato alla Corte d’appello di Milano. Nel testo la donna ha spiegato che in cella ci sono cimici e topi, per giorni è stata senza carta igienica e assorbenti e il cibo scarso (solo colazione e pranzo) e consegnato in condizioni igieniche carenti.

Dall’Ungheria però è arrivata solo una “risposta gravemente deficitaria rispetto alle domande dettagliate poste dalla Corte d’Appello”, in particolare sulle condizioni detentive nel Paese guidato da Viktor Orban. Come ha spiegato, all’Ansa, nei giorni scorso il sostituto pg Cuno Tarfusser, che già in aula nei mesi scorsi si è opposto alla consegna del 23enne e che insisterà “nel chiedere che Marchesi non vada in carcere in Ungheria”. Per il 13 febbraio è fissata la prossima udienza davanti alla Corte milanese per il giovane antagonista, ai domiciliari da fine novembre in quanto destinatario di un mandato di arresto europeo (era stato arrestato a Milano). I giudici hanno più volte rinviato il procedimento in attesa che le autorità ungheresi, come richiesto ai primi di dicembre, fornissero chiarimenti su una decina di quesiti che riguardano le condizioni detentive, lo Stato di diritto e l’indipendenza della magistratura nel Paese.

Nei giorni scorsi è arrivata a Milano una breve relazione nella quale il ministero della Giustizia ungherese risponde soltanto a poche delle questioni poste dalla Corte, solo a tre, pare. L’Ungheria sostanzialmente elenca una serie di norme per chiarire che è uno Stato di diritto, che contrasta la tortura e che l’imputato ha diritto alla traduzione degli atti. Non ci sono precisazioni sui trattamenti carcerari, non viene indicato in quale penitenziario verrebbe rinchiuso il 23enne, ma alla fine della missiva viene spiegato che su questi punti si esprimeranno gli uffici della “esecuzione penale”.

“A domande molto precise sono state date risposte molto imprecise”, aveva spiegato Tarfusser, chiarendo, comunque, che il punto è “la mancanza di proporzionalità e ragionevolezza” tra il fatto per come viene contestato e “la prospettiva di pena”. L’accusa di lesioni, in pratica, è equiparata ad un tentato omicidio in questo caso e prevede una pena che parte dai 5 anni e arriva fino a 16. Per un fatto che nel nostro ordinamento semmai può chiudersi con un patteggiamento a pena sospesa. “La proporzionalità – prosegue – è l’unico principio che può essere il grimaldello per evitare la consegna”.

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