Il museo della Shoah, che nascerà a Roma, darà “un contributo determinante affinché la malvagità del disegno criminale nazifascista e la vergogna delle leggi razziali del 1938 non cadano nell’oblio”. A scrivere queste parole è la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in occasione della Giornata della Memoria, a 79 anni dall’apertura del cancello del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa. Una dichiarazione che ha un doppio peso specifico. Da una parte arriva nei giorni in cui si moltiplicano gli allarmi sul rifiorire di nostalgie per il fascismo (a partire da Acca Larentia, su cui Meloni non ha mai detto una parola) ed episodi di antisemitismo. La notizia è nella citazione del “fascismo” come corresponsabile dell’orrore della deportazione degli ebrei, concetto che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non manca di ripetere già dalla sua prima elezione del 2015 e lo ha fatto di nuovo ieri: “Non c’è torto maggiore che si possa commettere nei confronti della memoria delle vittime – ha detto il capo dello Stato – che annegare in un calderone indistinto le responsabilità o compiere superficiali operazioni di negazione o riduzione delle colpe, personali o collettive”. E ha citato Primo Levi: “La storia della deportazione e dei campi di concentramento non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: ne rappresenta il fondamento condotto all’estremo, oltre ogni limite della legge morale che è incisa nella coscienza umana”. Concetti che comprensibilmente hanno fatto e spesso fanno ancora fatica ad emergere nel discorso pubblico di una parte di uomini e donne delle istituzioni provenienti da destra. Meloni stessa sul punto non era mai stata così chiara, né nei suoi discorsi in Parlamento né nelle dichiarazioni pronunciate o scritte in occasioni delle date fondamentali per la Repubblica, come il 25 aprile.

Per esempio non l’aveva fatto il 27 gennaio dello scorso anno, il primo da quando ha iniziato a guidare il governo del Paese. Aveva parlato di Shoah come “abisso dell’umanità” che ha “toccato in profondità anche la nostra Nazione con l’infamia delle leggi razziali del 1938″ facendo appello perché “istituzioni, società civile, agenzie educative, organi di informazione e mass media” agiscano per “accrescere la consapevolezza nelle giovani generazioni”. Da nessuna parte però si diceva che “l’infamia” era dovuta a una decisione di Benito Mussolini e del fascismo. Poco prima, nel discorso di insediamento in Parlamento di fine ottobre, Meloni aveva toccato il tema dicendo di non aver mai avuto alcuna simpatia per i regimi anti-democratici: “Per nessun regime, fascismo compreso, esattamente come ho sempre reputato le leggi razziali del 1938 il punto più basso della storia italiana, una vergogna che segnerà il nostro popolo per sempre”. Sembra una sfumatura, ma anche in questo caso fascismo e leggi razziali sembrano due linee parallele e che non si intersecano laddove su certi temi è la nettezza delle parole a far arrivare il messaggio soprattutto per “le nuove generazioni“. E poi la lunghissima lettera che Meloni scrisse sul Corriere della Sera nel suo primo 25 aprile da capa del governo. La premier definì il giorno della Liberazione come “spartiacque” ma con un elenco un po’ disordinato di vicende diverse: “La fine della Seconda guerra mondiale, dell’occupazione nazista, del Ventennio fascista, delle persecuzioni anti ebraiche, dei bombardamenti e di molti altri lutti e privazioni che hanno afflitto per lungo tempo la nostra comunità nazionale”. In realtà il 25 aprile fu più correttamente il giorno del proclama di insurrezione generale (scandito da Sandro Pertini) in tutti i territori ancora occupati e quindi fu l’ordine a tutte le forze partigiane del Nord Italia per l’attacco finale a fascisti e nazisti (“Arrendersi o perire” fu la formula usata da Pertini da imporre ai nemici occupanti). E ancora una volta da nessuna parte, in quella lettera, fu ricordato che tutte quelle sciagure furono responsabilità esclusive del fascismo: comprese le leggi razziali, scelta libera e autonoma del regime e del suo Duce, entrate in vigore da 7 anni prima della Liberazione e applicate a pieno regime durante la Repubblica di Salò.

Ora invece la frase di Meloni ha una forma diversa e, appunto, su questioni come queste – nella comunicazione politica dei vertici delle istituzioni – la forma è sostanza soprattutto quando in quell’area politica si registrano non di rado incertezze, imbarazzi, scivoloni (Meloni riuscì a dire che i 335 morti delle Fosse Ardeatine sono stati uccisi “solo perché italiani”, il presidente del Senato Ignazio La Russa descrisse l’azione partigiana di via Rasella parlando dei militari nazisti come “una banda di musicisti semi-pensionati”). La Shoah, rileva la presidente, è un “evento storico la cui unicità – per presupposti, scientificità della pianificazione e modalità di esecuzione – è necessario ribadire con chiarezza“. La presidente del Consiglio ha quindi parlato dell’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso. “Questi sono giorni particolarmente difficili per le comunità ebraiche”, ha continuato. “Il feroce attacco di Hamas ha scatenato una nuova ondata di odio contro il popolo israeliano e ha rinvigorito quei focolai di antisemitismo, che non si erano mai spenti del tutto e che hanno trovato nuovo vigore, molto spesso nascosti dietro la critica alle scelte del Governo israeliano. L’antisemitismo è una piaga da estirpare. E noi dobbiamo lavorare per combatterla in tutte le sue declinazioni, vecchie e nuove. È una priorità di questo governo e siamo felici che in questa sfida così impegnativa possiamo contare sulle competenze, le capacità e l’esperienza del generale Pasquale Angelosanto, come Coordinatore nazionale per la lotta all’antisemitismo”.

Non parla né di nazismo né di fascismo il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che definisce la Shoah come “male assoluto“: “Desidero rinnovare il sentimento di sincera vicinanza al popolo ebraico e inchinarmi alla memoria di chi non c’è più”, ha detto. La deportazione e lo sterminio degli ebrei è “una tragedia immane – continua la seconda carica dello Stato – il simbolo di un odio bestiale che mai più deve ripetersi. E’ necessaria, anzi indispensabile, una memoria condivisa che ripudi con forza ogni forma di odio, di razzismo, di antisemitismo e antisionismo”. Il presidente della Camera Lorenzo Fontana si è limitate alle poche parole affidate a un tweet: “Il Giorno della Memoria richiama le Istituzioni a non dimenticare mai l’orrore della ferocia nazifascista. Commemoriamo i milioni di vittime innocenti, una preghiera per loro e per quanti non videro più tornare a casa i propri cari”.

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