Il governo vieta le manifestazioni in solidarietà per la Palestina che si stavano organizzando da tempo in diverse città d’Italia per sabato 27 gennaio – e che in alcuni casi erano state già autorizzate. Roma e Milano, le principali, ma non le sole.

Il tutto è partito dalla richiesta della comunità ebraica di Roma al governo Meloni. Le parole del presidente della comunità, Victor Faldun, non lasciano spazio ad alcun dubbio: “Le istituzioni assumano l’unica decisione possibile: dire No alla marcia antisemita nel Giorno della Memoria”. Il ministro degli Interni Piantedosi, altre volte sordo come una campana e lento come un bradipo, ha risposto con estrema rapidità, sollecitando le autorità di pubblica sicurezza ad agire “per sollecitare un’autonoma possibilità di spostare le manifestazioni ad altri giorni”. Aggiungendo: “Non significa negare la libertà di manifestare”.
Dichiarazioni che affermano ciò che si vorrebbe negare. Così che i dubbi, anziché essere fugati, si tramutano in maggior convinzione che proprio di un divieto si tratti.

Conseguentemente alle parole di Piantedosi, il Dipartimento della pubblica sicurezza ha invitato i questori a rinviare le manifestazioni in solidarietà con la Palestina, perché “potrebbero assumere connotazioni lesive dello spirito commemorativo a favore delle vittime delle leggi razziali, nonché di condanna alla persecuzione del popolo ebraico”.

E, a 24 ore dalle previste manifestazioni, alle Questure è toccato il compito di contattare gli organizzatori e comunicare loro il divieto: “La manifestazione preavvisata dal promotore non potrà svolgersi il giorno 27 gennaio p.v., ma dovrà tenersi nella giornata del 28 gennaio 2024 o in altra data” – così si legge in uno dei dispositivi che in queste ore gli organizzatori si vedono notificati. Insomma, il 27 gennaio, Giorno della Memoria, in Italia è vietato manifestare per la Palestina. La tesi presentata dalla Comunità Ebraica di Roma e sostenuta dal governo è quella che la propaganda israeliana diffonde ormai da tempo: qualunque manifestazione che denunci i crimini di Israele deve essere considerata una espressione di antisemitismo.

Sostenendo che tutto è antisemitismo, si mette di fatto il bavaglio a qualsiasi critica a Israele. L’obiettivo è costringere al silenzio chi denuncia l’occupazione della Palestina, la pulizia etnica in corso a Gaza, l’esistenza di un regime di apartheid (che fa degli arabo-israeliani cittadini di Serie B), la violazione sistematica e continuativa del diritto internazionale, la mancata ottemperanza delle 73 risoluzioni di condanna dell’Onu, le violenze dei coloni che, in complicità con le forze armate di Tel Aviv, continuano a cacciare la popolazione palestinese dalle proprie case, a occupare villaggi in Cisgiordania e a minacciare, aggredire e purtroppo uccidere palestinesi.

Se il teorema “tutto è antisemitismo” serve a impedire la libertà di espressione, i divieti del governo Meloni servono a restringere la libertà di manifestazione. Dall’attacco alle parole a quello ai fatti.

Ancor più grave perché arriva nelle stesse ore in cui la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dell’Onu si è pronunciata sulla denuncia presentata dal Sudafrica contro Israele. Il più alto organo giudiziario delle Nazioni Unite ha sentenziato che a Gaza c’è rischio di genocidio. E ha conseguentemente intimato a Israele di applicare misure cautelari per impedire che questo pericolo si concretizzi.

Il paradosso, in Italia, è che nessuno domani potrà prendere questa sentenza e portarla nelle strade. Per via dei divieti manifestare per denunciare il rischio di genocidio a Gaza – cioè riprendere ciò che ha messo nero su bianco la CIG e magari aggiungere la rivendicazione di un cessate il fuoco immediato – sarà proibito. Dando quasi ragione al ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, quel Ben Gvir, che dopo aver armato i coloni, oggi ha dichiarato che la CIG è “antisemita” e che “non cerca giustizia, ma la persecuzione del popolo ebraico”.

Così il nostro Paese si rende ulteriormente complice di Tel Aviv, non si pone certo dalla parte di chi vuole salvare vite umane e nemmeno dellla memoria storica. Perché il 27 gennaio, Giorno della Memoria, servirebbe per l’appunto a ricordare. Affinché non accada mai più. Affinché un popolo non possa mai più subire ciò che ha subito il popolo ebraico per mano di nazisti e fascisti (consapevoli che la Storia non si ripete mai uguale a sé stessa, ma altrettanto consapevoli – dopo la sentenza della CIG ancor di più – che i genocidi non sono storia passata). Proprio quegli autori dell’Olocausto di cui importanti esponenti della maggioranza di governo conservano busti in casa – il Mussolini delle “leggi razziali” a casa La Russa – e con i cui abiti si travestono – il viceministro delle Infrastrutture Bignami di FdI vestito da SS. E che però non sembrano indignare.

Di fronte ai divieti e al restringimento della libertà di manifestazione, la maggioranza si è ovviamente compattata: Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega “plaudono a Piantedosi”, scrive La Stampa.

E l’opposizione? Quella che un giorno sì e l’altro pure ci ha abituato a gridare al fascismo del governo Meloni? Non pervenuta, vedi M5S. O, peggio, schierata dalla parte dell’ultradestra che limita la libertà dei cittadini, vedi le dichiarazioni di alcuni esponenti del Pd. Che sempre più ci abitua a un antifascismo di facciata, capace di individuare il fascismo solo nelle manifestazioni estetiche (come nel caso dei saluti romani ad Acca Larentia), ma non nella sostanza di provvedimenti che colpiscono al cuore quelle libertà e quell’agibilità democratica che il fascismo storico aveva conculcato.

Manifestare per la Palestina diventa oggi dunque ancor più significativo. Per ottenere il rispetto di quanto statuito dalla CIG, per spingere per una misura tanto urgente quanto necessaria per fermare la carneficina in corso, il cessate il fuoco, ma anche per respingere gli attacchi liberticidi dell’ultradestra di governo a diritti costituzionalmente garantiti.
Perché “mai più” voglia dire davvero “mai più per nessuno”. Anche per questo diciamo che sostenere la liberazione del popolo palestinese significhi combattere anche per la nostra.

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