Gli Stati Uniti, a detta dello stesso segretario alla Difesa americano Lloyd Austin, non possono spendere i soldi investiti fino a oggi per Kiev e sono quindi incapaci di inviare le munizioni e i missili di cui il governo di Volodymyr Zelenski ha bisogno per respingere l’invasione russa: “In attesa che il Congresso approvi più fondi per la lotta dell’Ucraina, Washington guarderà agli alleati per continuare a colmare il divario”. Così, gli alleati negli ultimi mesi hanno aumentato i loro propositi di investimento, chi in modo tradizionale, vale a dire apprestandosi a trasferire sistemi d’arma e munizioni, chi in modo creativo, creando un “effetto domino”: do a te perché tu dia a Kiev o perché tu lo dia a qualcun altro che lo darà a Kiev. Come vedremo, quest’ultimo stratagemma è più difficile da descrivere che da fare. E tra chi ha interesse a sostenere la causa ucraina c’è anche un Paese fino a oggi rimasto nell’ombra, almeno sui media mondiali: il Giappone

Tra i “donatori tradizionali” si segnala la Francia. Parigi si è impegnata a inviare nuovi missili da crociera SCALP e centinaia di bombe: “Consegneremo molte più attrezzature e aiuteremo l’Ucraina con ciò di cui ha bisogno per difendere i suoi cieli”, hanno promesso. Dal canto suo, Berlino ha deciso di impiegare fondi del governo federale per lo sviluppo delle capacità di sicurezza che nel 2023 hanno raggiunto i 5,4 miliardi di euro (dopo 2 miliardi di euro per il 2022) e ulteriori autorizzazioni ad assumere impegni negli anni successivi ammontano a 10,5 miliardi di euro. Particolarmente importanti sono, tra i “doni” di inizio 2024, i sistemi di difesa IRIS, gli elicotteri Sea King e le munizioni per i Patriot. Ma dalla lista mancano i Taurus, missili da crociera lanciati dall’aria che Kiev ha chiesto a più riprese perché potrebbero dare all’Ucraina la capacità di causare danni significativi all’interno del territorio occupato dai russi. Il governo tedesco è rimasto titubante, ufficialmente per la paura di innescare un’escalation internazionale del conflitto, nella realtà perché non essendo la Germania una potenza nucleare né dotata di una forza offensiva significativa potrebbe essere vittima di ritorsioni russe, anche non militari, più facilmente degli anglosassoni o dei francesi.

Così, è sbocciata l’idea – non confermata ufficialmente da alcuna delle parti, ma non c’era da aspettarsi il contrario – di uno scambio di missili: la Germania potrebbe trasferire un contingente dei suoi Taurus al Regno Unito e, a stretto giro di posta, Londra sarebbe in condizioni di trasferire a sua volta dei missili Storm Shadow, già conosciuti e impiegati dagli ucraini, alle truppe del generale Zaluzhny, senza per questo ridurre il livello di sicurezza della nazione britannica.

Dall’altra parte del mondo, però, c’è un Paese che sta preparandosi a fare qualcosa di analogo perché da quasi 80 anni ha una incredibile quantità di interessi geopolitici che lo contrappongono alla Russia (così come in passato all’Urss), con cui, è bene ricordarlo, non ha mai firmato un trattato di pace dopo la resa nel 1945. Si tratta del Giappone. L’invasione russa dell’Ucraina ha toccato, per Tokyo, un nervo scoperto. Non per caso, alla vigilia dell’attacco russo, il ministro degli Esteri nipponico Yoshimasa Hayashi in un’intervista mise subito in chiaro che i Paesi democratici devono “essere molto compatti su questo tema. Se succede qualcosa al confine con l’Ucraina, quello potrebbe influenzare i calcoli di altre nazioni in Asia”. Si riferiva a Cina e Nord Corea, i due Paesi che pongono le maggiori sfide strategiche e geopolitiche al Giappone e all’intero sistema di rapporti nella regione dell’Indo-Pacifico costruito da Washington negli ultimi 80 anni. Nel suo ultimo Libro bianco sulla difesa, il Giappone ha sostenuto che “i cambiamenti unilaterali allo status quo con la forza” rappresentano una seria sfida all’ordine internazionale esistente e che “il mondo è a un punto di svolta nella storia. La comunità internazionale sta affrontando la prova più grande dalla Seconda Guerra Mondiale e siamo entrati in una nuova era di crisi”. Le preoccupazioni giapponesi derivano dal fatto che l’aggressione della Russia contro l’Ucraina “è una situazione senza precedenti. Un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha mostrato disprezzo per il diritto internazionale lanciando un’aggressione contro un Paese sovrano”.

Così, il Giappone intende trasferire missili di difesa aerea Patriot – prodotti da Mitsubishi Heavy Industries su licenza degli appaltatori statunitensi della difesa Lockheed Martin e RTX – agli Stati Uniti dopo aver modificato le regole sull’esportazione di armi, allontanandosi dalle sue politiche pacifiste. Poco dopo che il governo ha annunciato questo cambiamento, il Ministero degli Esteri ha dichiarato che avrebbe spedito missili Patriot negli Stati Uniti per “rafforzare ulteriormente l’alleanza Giappone-Usa”. Ha aggiunto che i missili potrebbero essere inviati solo negli Stati Uniti e richiederebbero l’approvazione del Giappone per essere inviati a un Paese terzo, dato che Tokyo non accetta l’esportazione di armi verso i Paesi in guerra. Ma questo non rappresenta un problema: i missili Patriot di fabbricazione giapponese potrebbero ricostituire le scorte degli Usa, consentendo a Washington di inviarne altri di fabbricazione statunitense in Ucraina. I missili Patriot sono tra le armi più avanzate fornite dagli Stati Uniti all’Ucraina e stanno svolgendo un lavoro strategico nel ridurre al minimo i danni infrastrutturali e militari causati dai missili balistici e ipersonici di Mosca.

Le potenze occidentali sono a corto di munizioni per rifornire l’Ucraina nella sua difesa contro l’invasione russa: per questo, secondo il Financial Times, Tokyo sta anche valutando la possibilità di esportare proiettili di artiglieria da 155 mm nel Regno Unito, poiché li produce su licenza di BAE Systems, permettendo così a Londra di rifornire Kiev senza svuotare i propri arsenali. Questa ‘triangolazione’ tra Tokyo, Kiev e gli alleati comuni potrebbe ripetersi di nuovo nel breve-medio periodo per altre armi. Il consigliere per la sicurezza nazionale americano Jake Sullivan ha accolto con entusiasmo la nuova politica giapponese: “Questa decisione contribuirà alla sicurezza del Giappone e alla pace e alla stabilità nella regione dell’Indo-Pacifico, garantendo che le forze statunitensi, in stretta collaborazione con le forze di autodifesa giapponesi, continuino a mantenere una credibile capacità di deterrenza e risposta”.

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