Altro che de-escalation e sforzi per “le iniziative diplomatiche” come viene promesso di tanto in tanto dai leader occidentali. Per il generale Patrick Sanders, capo di Stato maggiore a fine mandato dell’esercito del Regno Unito, la guerra mondiale, se non quella nucleare, è uno scenario a cui “prepararsi”: ammesso che ci sia modo di farlo, anche solo psicologicamente. Un richiamo, che però somiglia tanto a un allarme, su uno scenario che solo pochi anni fa sarebbe stato impensabile soltanto evocare ad alta voce all’interno del campo occidentale. I cittadini britannici “potrebbero essere chiamati” in un futuro non lontano a combattere contro la Russia, ha dichiarato Sanders senza giri di parole in un discorso tenuto a Londra proprio nei giorni della fine del suo mandato. Il generale britannico si è spinto a delineare lo spettro del sacrificio supremo per i sudditi di re Carlo III; ma parlando della necessità di ridar vita in qualche forma a un “esercito di popolo“, dopo decenni d’adesione stretta al modello delle forze professionali.

Sir Patrick – destinato alla pensione fra sei mesi e già da tempo elevato al rango di cavaliere del Regno (con annesso appunto titolo di sir) in aggiunta alle decorazioni guadagnate sul campo in teatri di guerra più o meno infausti come quello dell’Afghanistan, dell’Iraq o della ex Jugoslavia – non è nuovo del resto a dichiarazioni allarmanti. Talora a una retorica ai limiti dell’apocalittico. Tanto più sullo sfondo del salto di qualità della minaccia attribuita a Mosca sulla scia dell’invasione dell’Ucraina del febbraio di due anni fa.

Il suo messaggio odierno appare peraltro rivolto anche se non soprattutto ai vertici politici di Londra. Pur non essendo apertamente favorevole al ritorno a una coscrizione obbligatoria, in passato egli aveva infatti criticato in pubblico i tagli alle forze armate compiuti sotto gli ultimi governi, lamentando un numero di effettivi – almeno fra i ranghi delle forze di terra sotto il suo comando, Royal Navy e Raf escluse – insufficiente a far fronte ai rischi: con 73mila unità residue, attualmente, contro le 100mila arruolate ancora nel 2010. “Nei prossimi anni – ha sentenziato – deve diventare realistico tornare a un esercito britannico di 100mila uomini (e donne, ndr), inclusa la nostra riserva e la riserva strategica, ma questo non basterà ancora”. A sostegno delle sue argomentazioni ha poi citato i passi “decisi” adottati da Paesi un tempo neutrali quali Svezia e Finlandia per “difendersi” da presunte mire dell’orso russo. Mentre, a dispetto dell’apparente fallimento della controffensiva ucraina recente, ha comunque elogiato la resistenza di Kiev come una dimostrazione “brutale” del fatto che “gli eserciti regolari iniziano le guerre, ma gli eserciti di cittadini le vincono“.

Negli ultimi giorni, toni analoghi erano riecheggiati nelle parole di ufficiali e dirigenti politici di altri Paesi Nato, dall’ammiraglio olandese Rob Bauer, capo del Comitato Militare Atlantico (secondo il quale “la pace non è più scontata” ed è necessario predisporsi quanto meno all’eventualità di un conflitto diretto con Mosca), fino a esponenti tedeschi o americani. Salvo essere ridimensionati dal segretario generale Jens Stoltenberg in persona, che a margine della più vasta esercitazione dell’Alleanza ai confini con la Russia dalla fine dell’Urss, ha cercato di dare un colpo di freno: “Non vediamo alcuna minaccia diretta o imminente – ha tagliato corto – contro alcun alleato della Nato. Certamente sorvegliamo da vicino ciò che fa la Russia, e abbiamo aumentato la vigilanza; ma la nostra idea è solo quella di prevenire un attacco“.

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