Ieri sera a Novara, nelle belle sale del teatro Faraggiana, abbiamo ricordato, a due anni esatti dalla sua scomparsa, Paolo Taggi. Dico abbiamo perché, insieme con Lucilla Giagnoni che è direttrice artistica del teatro e teneva le fila della serata, con Vanni Vallino che ha promosso e organizzato l’evento e con Mario Tosi, c’ero anch’io, che sono stato amico di Paolo per tutta la vita, a parlare della sua televisione.
La serata proponeva la visione di un vecchio lavoro di Taggi, ora nel catalogo dell’editrice Interlinea. Si tratta di una duplice intervista ad Alda Merini. Ci sono immagini e parole della poetessa nel 1993, quando era praticamente sconosciuta e Paolo l’aveva cercata per il suo programma su Telemontecarlo Lo specchio della vita, a cui si alternano i commenti della stessa Merini 13 anni dopo nel 2006, quando la sua vita è cambiata in seguito al successo e ai numerosi premi. Il documentario è andato in onda in Rai nella notte profonda della terza rete e poi con maggiore visibilità sulla tv della Svizzera italiana, ma rivederlo è stato importante per capire il senso della televisione di Taggi, che com’è noto ha attraversato i generi e gli ambiti più diversi, dalla sperimentazione del falso documentario all’intrattenimento popolare, dalla ricerca di nuove forme della divulgazione culturale alla tentazione del confronto con il reality.
Superando le emozioni dei ricordi e del rimpianto, resi più vivi e acuti dalla presenza, accanto a moltissimi amici, anche dei familiari – la moglie Roberta e il figlio Giacomo, vicini anche nella loro vita professionale alle esperienze di Paolo – alla fine è emersa la linea che segna in profondità il lavoro televisivo di Taggi. L’ha individuata nel suo commosso intervento Mario Tosi. Senza cadere in inutili nostalgie il punto di riferimento è una piccola tv privata, o libera come si diceva allora, dal nome tutt’altro che scintillante, Tele Basso Novarese.
È lì, in quel mondo provinciale, ruspante, entusiasta e ingenuo, pieno di giovani, giovanissimi, neanche ventenni, che prende corpo un’idea di televisione fatta di storie. Di storie, di personaggi, di situazioni che i confini rigidi della televisione pubblica lasciano fuori dalla rappresentazione.
Anche in quel rinnovamento che gli anni della riforma del servizio pubblico producono con esiti interessanti, il mondo che entra nella televisione è ancora un mondo istituzionale, di alto profilo, molto raffinato ma esclusivo. Fuori c’è tutto un altro mondo, fatto di poetesse che nessuno conosce, di “gente comune”, come recita il titolo di un film di grande successo in quegli anni, di storie e sentimenti che vale la pena raccontare. Tutto comincia lì e poi si sparge tra Rai e Mediaset, tra Io confesso e Scrupoli, tra Stranamore e Turisti per caso, con il progetto nato in una piccola emittente locale di rendere visibile, televisibile, ciò che ancora non lo è. Si tratti di un camminante, di una sconosciuta poetessa o dell’autore dimenticato di una canzone di Mina.