Un tempio indù costruito sulle macerie di una storica moschea. Il primo ministro indiano Narendra Modi – esponente del Partito del Popolo Indiano e primo ministro dell’India dal 26 maggio 2014 – ha inaugurato un imponente tempio a tre piani costruito sulle rovine di una storica moschea di epoca Moghul nella città settentrionale di Ayodhya, nell’Uttar Pradesh nell’India settentrionale. La consacrazione del tempio, dedicata a Lord Ram, è il trionfo della politica nazionalista indù di Modi e potrebbe causare nuove proteste e polemiche nella comunità musulmana del Paese perché riprende una pagina complessa degli scontri tra minoranza islamica e maggioranza induista. E perché da molti è stato visto come una legittimazione di future distruzioni dei luoghi sacri dell’Islam.

Non è la prima volta, del resto, che il primo ministro Modi, noto per le sue posizioni nazionaliste e conservatrici, finisce nel mirino delle critiche della minoranza musulmana del Paese. Nel 2002 il suo establishment era stato accusato di aver ignorato i rischi e di fatto appoggiato e incoraggiato le rivolte antimusulmane che avevano portato all’uccisione di 2mila musulmani nel Gujarat. E se Modi, durante la consacrazione, è arrivato a parlare di “simbolo della coscienza nazionale” e di ”un momento sacro, un momento giusto in cui dobbiamo gettare le fondamenta per l’India dei prossimi mille anni”, arrivato “dopo secoli di pazienza senza precedenti, innumerevoli sacrifici, rinunce e penitenza”, la costruzione e inaugurazione del monumento – sorto proprio nel sito di un’antica moschea distrutta nel 1992 da circa 150mila fondamentalisti indù – è stata invece vista dalle minoranze islamiche come una provocazione.

La demolizione della Moschea aveva scatenato numerose rivolte che avevano portato alla morte di quasi 2mila persone, a cui era seguita una battaglia legale conclusasi nel 2009 con l’assegnazione da parte della Corte suprema di Nuova Delhi del terreno conteso tra le due comunità agli indù. Il decreto della Corte aveva invece assegnato ai musulmani un terreno fuori città, nello Stato dell’Uttar Pradesh. Durante il discorso inaugurale, Modi ha fatto riferimento proprio a tale battaglia legale. Secondo il primo ministro, il nuovo tempio è infatti “costruito in maniera giusta” e “tenendo fede”, ha specificato, “alla legislazione“.

L’obiettivo del partito al governo in India è quello di fare di Ayodhya la capitale religiosa del Paese, “la Città del Vaticano” dell’India, come hanno riferito. Posizioni estreme che spiegano la cautela dimostrata da alcuni veggenti indù e dall’opposizione che contesta a Modi di voler utilizzare l’evento per aumentare il proprio consenso in vista delle elezioni generali. I rivali politici di Modi affermano che il partito al governo Bharatiya Janata Party (Bjp), infatti, cerchi voti in nome del tempio, in un Paese dove l’80% della popolazione è indù e dove sono però residenti anche 200 milioni di musulmani.

“Il 22 gennaio 2024 non è semplicemente una data nel calendario, ma annuncia l’avvento di una nuova era“, ha detto Modi fuori dal tempio, dopo la consacrazione. Secondo il primo ministro, l’inaugurazione corrisponde a un momento decisivo per la campagna decennale di allineamento del governo del Paese con la fede maggioritaria. Ma secondo le opposizioni, il momento è decisivo soprattutto per la campagna elettorale che vede Modi puntare ora al terzo mandato nelle elezioni previste per questa primavera. Come riportato da Al Jazeera, la maggior parte dei partiti di opposizione indiani, compreso l’Indian National Congress, hanno quindi rifiutato l’invito all’evento, affermando che non si addiceva a un’India laica. E intanto tra i cittadini musulmani, riporta ancora la rete di informazione del Qatar, il timore che tale cerimonia sia il segno di un via libera alla distruzione di altri luoghi di culto sembra diffondersi sempre più.

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