Nei primi commenti a caldo dopo la sua scomparsa che ha stordito e addolorato gli italiani, arrivano queste parole: “Gigi Riva ha cambiato la storia della Sardegna. E’ stato lui, un calciatore lombardo sbarcato sull’isola neppure ventenne, a trascinarci nella modernità”. Vero. Potenza di uno sport capace di andare oltre i suoi confini naturali per diventare materiale di sociologia. Ma è vero anche il contrario: la Sardegna era entrata nel cuore di un uomo segnato giovanissimo da lutti e amarezze, rendendolo più pacificato, meno ombroso, quasi sereno. Gigi Riva e la Sardegna, storia di 60 anni di amore profondo, dal primo giorno in cui il ragazzo di Leggiuno mise piede a Cagliari fino alla scomparsa che la ha portato via in poche ore. Un dolore enorme per l’isola, per la sua gente, per un popolo che, dopo una storia secolare vissuta ai margini del nostro paese, entrò prepotentemente nel tessuto italiano grazie ai gol di un fuoriclasse dal fisico atletico, scolpito come una statua greca.

La Sardegna ha prodotto grandi uomini: Antonio Gramsci, Enrico Berlinguer, Grazia Deledda, Emilio Lussu, Giuseppe Dessì. Ma a sdoganarla, a renderla davvero protagonista, sono stati i gol e la coerenza esemplare di Gigi Riva. Lo scudetto conquistato dal Cagliari nel 1970 fu un evento eccezionale. Fior di scrittori, giornalisti e sociologi sbarcarono in Sardegna per studiare, analizzare e provare a interpretare il fenomeno. Memorabile un dialogo con un pastore semianalfabeta che, in quei giorni, quando gli fu chiesto che cosa ci guadagnasse con i successi del Cagliari, rispose: “Che cosa ci guadagnerei se invece perdesse?”.

“La Sardegna era considerata un’isola penale, una terra di banditi, un posto dove si veniva mandati in castigo. I sardi hanno subito nel corso dei secoli ingiustizie e abbandono. Il nostro scudetto fu un riscatto enorme. Quando andavamo a giocare a Milano e Torino vedevo l’orgoglio dei nostri tifosi, protagonisti dopo aver subito tante umiliazioni nella vita”. Riva capì in profondità lo spirito della Sardegna perché anche lui aveva fatto i conti, in gioventù, con pregiudizi e mortificazioni, legate soprattutto al periodo del collegio. L’amore con l’isola fu immediato. La promozione in Serie A nel 1963-64, con la prima partecipazione storica al massimo campionato, fu la prima grande impresa dell’epopea in Sardegna di Gigi Riva. Il titolo conquistato nel 1970 fu il capolavoro, con una squadra di campioni guidati da un personaggio straordinario come Manlio Scopigno, quasi un secondo padre per Rombo di Tuono. Riva e la Sardegna erano in sintonia nei silenzi, nel rigore, nella concretezza. L’unico fumo della vita di Riva era quello delle sigarette. Anche da giocatore, non riusciva a rinunciare al profumo del tabacco. Riva si godette l’isola nelle passeggiate di sera in auto (“sono sempre stato un animale notturno, mi piaceva guidare sotto le stelle con il sottofondo della musica”), nelle passeggiate al mare fuori stagione, nei suoi percorsi in città dove aveva i suoi luoghi abituali: il ristorante, il tabaccaio, l’edicola.

“Quando nel 1963 fu annunciato il mio trasferimento a Cagliari, pensai a uno scherzo. Ebbi quasi paura. Ero convinto che non sarei rimasto più di un anno. L’impatto con il campo di allenamento fu terribile. Non c’era un filo d’erba. Poi però il calcio, la passione, i compagni di squadra, la promozione in Serie A iniziarono a farmi cambiare idea. Si creò un rapporto particolare. C’era il pescatore che t’invitava a casa, ti offriva la cena e ti trattava come uno di famiglia. Mi accorsi che mi stavo attaccando a una terra, una regione, un popolo. La maglia del Cagliari mi si attaccò alla pelle. Poi un’altra maglia mi avrebbe conquistato. Quella dell’Italia. Le due maglie della mia vita. Non le avrei mai tradite”. Anche la Sardegna non ha mai tradito Riva. Lo ha accolto, ricoperto d’affetto, protetto, rispettato. E’ stato il leader vero di una regione che l’Italia ha prima abbandonato al suo destino e poi sfruttato in modo sfrenato dagli anni Sessanta in poi, con il boom turistico, la cementificazione e un’industrializzazione che ha creato problemi ambientali, persino di salute. Riva non ha mai fatto mancare la sua voce, legandosi a vita alla terra che lo aveva adottato come un figlio, rifiutando un trasferimento miliardario alla Juventus nel 1973 che avrebbe arricchito il suo conto in banca. Un uomo con la schiena dritta fino in fondo. Un personaggio che fece una scelta di vita quando l’espressione non andava di moda. Rombo di Tuono: un simbolo, un mito, un grande italiano.

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