Il californiano dal cuore di ghiaccio ha sconvolto il pianeta romanista, licenziando di persona José Mourinho e assumendo, al suo posto, un totem della storia giallorossa come Daniele De Rossi (manca solo l’ufficialità). Si dirà: unica scelta possibile sul piano emotivo/popolare. Molto probabile, ma se sarà azzeccata anche sul piano tecnico, con il nono posto attuale in classifica e l’obiettivo di agguantare a tutti i costi la quarta posizione, oggi lontana cinque punti, lo certificheranno i risultati. Da un guru del calcio mondiale a un esordiente, a parte i quattro mesi vissuti da De Rossi alla guida della Spal in Serie B dall’ottobre 2022 al febbraio 2023: un ribaltone con la maiuscola. Il futuro prossimo potrebbe essere Antonio Conte, ma, ora, bisogna fare i conti con il presente.

Questa svolta, che ha avuto un’eco immediata nei media internazionali, a cominciare dal sito della BBC che già azzarda un ritorno di Mourinho in Premier per rilevare il Newcastle da Eddie Howe, è figlia unica di Dan Friedkin. Il comunicato di commiato, neppure troppo sdolcinato, ha la firma del club. Nella vulgata si parla di decisione “dei Friedkin”. La verità è che è stato il grande capo, con l’animo collaudato dalla giungla degli affari, a prendere di petto la situazione dopo il doppio ko con Lazio e Milan. Friedkin padre ha preso l’aereo, è sbarcato in Italia e ha sfidato il “romanismo”. Mou era la sua guida suprema. Solo Dan Friedkin poteva metterlo alla porta. Il californiano ha obiettivamente preso l’unica decisione possibile, in un club con il mercato condizionato dai paletti del Fair Play Finanziario e un direttore sportivo in uscita dal 1° febbraio: l’alternativa, impossibile, era quella di cacciare mezza squadra. Dan Friedkin ha congedato il coach che aveva vinto la Conference League e aveva perso, in una partita burrascosa, l’ultimo atto di Europa League. Negli Usa non si vive di ricordi, ma si guarda sempre al futuro e, soprattutto, ai bilanci. Mai la Roma aveva centrato due finali di fila in Europa, ma la stessa Roma dal 2019 è fuori dalla Champions. E la Champions, con il suo giro di denaro, è l’unica cosa che conta nel calcio moderno, soprattutto per chi ha speso novecento milioni di euro per rimettere a posto i conti, disastrati dalla gestione di James Pallotta.

Sicuramente la mossa di Dan Friedkin ha il senso dell’ultima mano, disperata, del giocatore di poker. Il boss ha sfidato il popolo dei sold out all’Olimpico, l’ombrello garantito dalla presenza di un personaggio come Mourinho, le perplessità – legittime – sulle capacità di De Rossi di dare una sterzata alla stagione giallorossa. Nel giro di poche ore, la Roma è passata dal manager con 26 titoli in bacheca a un esordiente assoluto, zero presenze in panchina in Serie A. Una decisione che, in attesa di verificare se davvero De Rossi diventerà un grande allenatore come molti pronosticano, ha il senso di un provvedimento dettato dall’emergenza e, contemporaneamente, dal tentativo di placare l’onda popolare. Dal capopopolo Mou alla vecchia bandiera, ammainata nel 2019 quando De Rossi lasciò Trigoria e tornata a sventolare 5 anni dopo, nell’ennesima giornata giallorossa di tormenti.

Comunque vada, la storia di Mourinho a Roma ha sconfinato il perimetro del calcio ed è materiale di sociologia. Due anni e mezzo di passione sconfinata. Mou ha ridato orgoglio e senso di appartenenza a un popolo disorientato dopo un decennio abbondante di illusioni e, soprattutto, delusioni. La svolta è stata Budapest, ennesima serata maledetta dell’epica romanista. Un esito diverso nella finale di Europa League avrebbe consacrato il genio di Mourinho e permesso alla Roma di tornare in Champions League. La caduta di Mou è cominciata il 31 maggio 2023, tra gli errori dell’arbitro Taylor e quelli dei giocatori al momento dei rigori. Budapest lo zenit. Poi, indietro tutta. Mourinho viene esonerato ancora una volta al terzo anno: come al Chelsea (2015) e come al Manchester United (2018). Chiude con una percentuale successi del 49% e un bilancio tecnico discutibile: 138 partite, 68 successi, 30 pareggi, 40 sconfitte. In pratica, un ko ogni quattro match. Con una postilla: 4 derby persi su 6. La sua Roma non ha mai giocato un bel calcio, ma ha regalato giornate di straordinaria emotività: la finale di Conference, le doppie sfide in Europa League contro Real Sociedad, Feyenoord e Bayer Leverkusen. Mou ha riempito l’Olimpico. Ha riempito soprattutto il cuore di un popolo. Oggi è già storia, come il murale sbiadito di Mourinho in vespa nel cuore di Testaccio.

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