di Beatrice Castellani

Io e Husam ci siamo conosciuti nel 2014, durante un programma Erasmus a Wrocław, in Polonia. Eravamo entrambi studenti al dipartimento di Ingegneria Meccanica e il nostro, più che un incontro, è stato inizialmente uno scontro fra due culture diverse.

Husam non era mai stato in Europa prima, io non avevo mai conosciuto qualcuno che fosse di religione musulmana. La Polonia degli studentati e dell’Erasmus non era certo un terreno imparziale sul quale misurarsi. Scorrevano alcool e serate, io ero per la prima volta così lontana da casa e Hu si era trovato catapultato in un mondo completamente diverso e in cui era difficile orientarsi.

Avevamo molte domande. Entrambi. Uno sulla cultura dell’altro. Domande che il 7 gennaio del 2015 si sono fatte ancora più complesse, quando l’attentato a Charlie Hebdo in Francia ha dato il via a un lungo periodo di diffidenza e paura nei confronti della comunità islamica. In quei mesi, alcuni studenti genericamente identificati come “arabi” sono stati associati agli atti terroristici e hanno iniziato a subire aggressioni di vario genere.

Nel frattempo, io e Husam continuavamo a parlare e a cercare di capire, di dare un senso e una narrativa a quanto stavamo vivendo. Non sono certa che i nostri confronti siano mai arrivati a qualche tipo di conclusione condivisa, ma quel che è certo è che, a furia di parlarci insieme, lo sconosciuto diventa conosciuto. E la diffidenza si trasforma in amicizia.

Da allora io e Husam non abbiamo mai smesso di essere amici, è venuto a trovarmi in Italia e abbiamo continuato ad aggiornarci sulla vita di entrambi. La sua, tornato a Gaza, ogni tanto mi compariva in televisione e allora gli scrivevo per domandargli se, nonostante i bombardamenti da un lato o dall’altro, fosse ancora tutto ok. Fino ad ottobre del 2023, quando a un certo punto la connessione è sparita e per due settimane io sono rimasta convinta che potesse essere morto. Quello è stato lo scoccare dell’inizio di un lungo incubo da cui lui, la moglie e la bambina non sono ancora riusciti ad uscire. E io mi ritrovo a non avere risposte e conclusioni, esattamente come in Polonia 10 anni fa. Ma a ricordare perfettamente che lo sconosciuto era diventato un amico. Un amico che oggi ha bisogno di aiuto.

Husam oggi è sposato con Aya, anche lei ingegnere, ed è padre di una bambina di 20 mesi di nome Basant. Sta studiando per ottenere un Ph.D. in Ingegneria Meccanica alla King Abdulaz University in Arabia Saudita. Grazie al visto da studente, quando è stato ferito a una gamba ha ottenuto il permesso per il trasferimento a un ospedale in Arabia Saudita, dove ha subito diversi interventi chirurgici volti a farlo tornare a camminare.

Aya e Basant sono rimasta bloccate a Gaza e vivono in una tenda senza cibo né acqua. Le case non ci sono più. La gran parte delle loro famiglie non c’è più. I business non funzionano più. Non c’è più la possibilità di avere una vita.

Ho deciso di iniziare una campagna di raccolta fondi per aiutare Hu e la sua famiglia a ricongiungersi in Egitto, per provare a ricostruire.

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