Mustafa Abu Thraya, Hamza Wael Dahdouh e Ali Salem Abu Ajwa sono i nomi dei giornalisti uccisi da uno dei raid israeliani del 7 gennaio. Dall’inizio del conflitto nella Striscia di Gaza, secondo le ong, sono almeno 80 i cronisti ammazzati mentre facevano il loro lavoro. I primi due delle tre vittime di oggi lavoravano per Al Jazeera che, in una nota, ha condannato l’attacco: “Israele viola i principi della libertà di stampa”, è la denuncia dell’emittente con sede in Qatar secondo cui l’auto dei giornalisti “è stata presa di mira”. Hamza era il figlio di Wael Dahdouh, capo dell’ufficio di Al Jazeera a Gaza e già testimone della morte della moglie e di altri due figli. La terza vittima, Ali Salem Abu Ajwa, lavorava come cronista a Gaza e secondo il Times of Israel era nipote dello sceicco Ahmed Yassin, che fondò Hamas a Gaza nel 1987.

A fornire gli ultimi dati sulle morti, il 31 dicembre scorso, è stata la ong Committee to protect journalist: a fine 2023 si contavano almeno 77 giornalisti e media workers uccisi. Di questi: quattro sono israeliani, tre libanesi e 70 palestinesi. La ong Press Embleme Campaign ha denunciato che “si tratta del più alto numero di vittime dei media in un conflitto in un periodo di tempo così breve“. Il presidente Blaise Lempen ha condannato gli “attacchi indiscriminati che non distinguono tra civili e combattenti di Hamas”: “Sebbene sia difficile verificare se i giornalisti siano stati presi di mira intenzionalmente o meno”, si legge nella nota diffusa il 3 gennaio scorso, “l’esercito israeliano ha sistematicamente distrutto i media palestinesi a Gaza bombardando i loro uffici e le loro strutture“.

Il Committee to protect journalist conta, dall’inizio del conflitto, le morti di cui viene a conoscenza e fa verifiche in tempo reale su molte altre. Le cifre sono diverse da quelle dell’ultimo rapporto di Reporter senza frontiere che, a dicembre scorso, certificava “solo” 17 giornalisti morti mentre lavoravano a Gaza. Come spiegato dall’emittente France24, la discrepanza è dovuta al fatto che RSF non tiene conto dei professionisti dei media morti ad esempio durante il bombardamento delle loro case.

Intanto la ong Committee to protect journalist ha fatto sapere di essere “particolarmente preoccupata per un apparente schema di attacchi ai giornalisti e alle loro famiglie da parte dell’esercito israeliano”. In almeno un caso, continuano, “un giornalista è stato ucciso mentre indossava chiaramente le scritte della stampa in un luogo in cui non erano in corso combattimenti. In almeno altri due casi, i giornalisti hanno riferito di aver ricevuto minacce da funzionari israeliani e ufficiali dell’IDF prima che i loro familiari venissero uccisi”. Il CPJ, nel comunicato del 6 gennaio, ha fatto sapere che “sta indagando su numerose segnalazioni non confermate di altri giornalisti uccisi, scomparsi, detenuti, feriti o minacciati e di danni agli uffici dei media e alle case dei giornalisti”. Sherif Mansour, coordinatore del programma Medio Oriente e Nord Africa ha aggiunto: “I giornalisti sono civili che svolgono un lavoro importante in tempi di crisi non devono essere presi di mira dalle parti in conflitto. I giornalisti di tutta la regione stanno facendo grandi sacrifici per coprire questo conflitto straziante. Quelli di Gaza, in particolare, hanno pagato, e continuano a pagare, un tributo senza precedenti e affrontano minacce esponenziali. Molti hanno perso colleghi, famiglie e strutture mediatiche e sono fuggiti in cerca di sicurezza quando non c’è un rifugio o un’uscita sicura”.

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