Il 1 gennaio 1994 il “sogno” messicano di entrare nel “primo mondo” grazie al Trattato di Libero Commercio con Usa e Canada si scontrava con l’opposizione ideologica e materiale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. “All’alba del giorno primo del primo mese dell’anno 1994, un esercito di giganti, cioè, di indigeni ribelli, scese in città per scuotere il mondo al suo passaggio” scrisse il Subcomandante Marcos. Nelle prime ore di quel capodanno uomini e donne indigeni, di origine Maya con diverse lingue e abiti, occupavano sette municipi del Chiapas rifiutando l’idea di omologazione neoliberista, rivendicando la politica della differenza, ricordando le distanze culturali e organizzative del mondo indigeno rispetto a quello urbano, mettendo al centro la vita, il bene comune, e l’idea di collettività contro quella della singolarità, aprendo così una crepa,ancora aperta, nel muro del pensiero unico e facendo una proposta di Messico possibile per tutte e tutti ed un “mondo capace di contenere tanti mondi”.

Uomini e donne indigene, con il volto coperto dal passamontagna, cambiarono in maniera imprevista il Messico e la storia rivisitando l’idea di rivoluzione, utilizzando l’insurrezione armata non per prendere il potere se non per rivendicare diritti universali partendo dalla decostruzione interna della cosmogonia indigena imponendo discorsi e pratiche femministe e di convivenza pacifica nelle comunità originarie e ricordando che il mondo è un congiunto di varietà non omogenizzabili. Indigeni ed indigene sono, oggi, un soggetto riconosciuto e presente nel dibattito politico, tanto che candidati e candidate alle presidenziali cercano il loro supporto, ma il Messico ancora non si definisce, per costituzione, plurinazionale.

30 anni fa, a San Cristobal de Las Casas, i popoli originari soffrivano un razzismo violentissimo: era loro precluso camminare sui marciapiedi o entrare nei negozi, il turismo non esisteva ed il meticciato “coleto” viveva nel ricordo di essere l’antica capitale dello stato di confine con il Guatemala. Ora camminano a testa alta, aprono locali, c’è chi di loro vive il contesto urbano senza tradire le proprie tradizioni, chi si fa assorbire dalla società occidentale, chi resta in comunità, chi è vicino ad un partito, chi al sogno rivoluzionario. Nelle aperte e conclamate contraddizioni esistenti, forse la più grande conquista dell’EZLN è che le indigene e gli indigeni del Messico hanno acquisito libertà e diritti, per quanto ancora insufficienti, impensabili quando Salinas De Gortari firmava il Nafta con Usa e Canada.

Trent’anni dopo il mondo è molto diverso da quel giorno del 1994, e sono diversi San Cristobal, il Chiapas ed il Messico. Il turismo, per esempio, in questo stato di confine con il Guatemala, è da anni la prima industria locale e le trasformazioni urbane ed infrastrutturali sono scusa e causa dell’espulsione dalle città di povere e poveri, sgomberare comunità indigene, e cambiare in maniera irreversibile il territorio. L’accelerazione del processo di turistificazione è stata una delle risposte del governo messicano alla rivolta zapatista, nel tentativo di cooptare comunità originarie, arricchendo il territorio e frazionando così le necessità collettive. Ciò dice chiaramente che, a prescindere dall’idea che si possa avere dell’azione rivoluzionaria dell’EZLN, il Messico sarebbe un paese diverso, oggi, e con il paese anche i movimenti sociali del continente ed europei che hanno trovato nel neo-zapatismo un referente innovativo e eterodosso.

Una storia imperfetta, fatta di errori ed inciampi, rotture ed innamoramenti, conflitti interni alle comunità e alla struttura, una storia che ha appassionato intellettuali di mezzo mondo e artisti, e vive in uno scontro aperto con Andres Manuel Lopez Obrador, attuale presidente del Messico, per il quale la sconfitta elettorale nel 2006 è figlia non solo del possibile broglio del PRI ma anche del posizionamento dell’EZLN che si disse distante e non interessato al risultato delle presidenziali. Per “AMLO”, il mancato endorsment dell’EZLN e la critica del sistema istituzionale messicano tutto segnò la sconfitta. Uno scontro che prosegue anche oggi, apertamente, in maniera bi-direzionale. La rivendicazione della propria imperfezione è metodo politico e pratico per gli zapatisti. Dopo aver creato i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ) e quindi le Giunte di Buon Governo (JBG), inventandosi un governo alternativo a quello federale anche grazie “all’edificazione” di scuole e cliniche e così aver pensato un sistema di salute, educazione e giustizia autonomo non hanno esitato a mettere tutto in discussione. Hanno ammesso i proprio errori, con una serie di comunicati pubblici che hanno accompagnato il countdown per le celebrazioni dei primi 30 anni di lotta.

“In sintesi, ti dico che MAREZ e JBG ci hanno aiutato a imparare che la teoria senza pratica è pura chiacchiera” scrive Marcos il 14 novembre di quest’anno, non più subcomandante ma Capitano come all’inizio della sua “carriera” nell’EZLN. “La pratica senza teoria è camminare come un cieco. E poiché non esiste una teoria su ciò che abbiamo iniziato a fare, cioè non esiste un manuale o un libro, allora abbiamo dovuto creare anche la nostra teoria. A tentoni abbiamo fatto teoria e pratica. Penso che sia per questo che non piacciamo molto ai teorici e alle avanguardie rivoluzionarie, perché non solo gli togliamo il lavoro, ma mostriamo loro anche che le chiacchiere sono una cosa e la realtà è un’altra. Ed eccoci qui, gli ignoranti e arretrati, come ci chiamano, che non riescono a trovare la strada perché siamo solo campesinos. Ma eccoci qui e anche se ci negano, esistiamo. È così”.

L’EZLN ha resistito a 5 presidenti, alla militarizzazione del territorio (oggi in Chiapas ci sono 72 accampamenti o basi militari che circondano l’area di influenza zapatista), alla para militarizzazione (tristemente famoso il massacro di Acteal nel 1997), e alla guerra a bassa intensità. Oggi si trovano a confrontarsi resistendo anche al crimine organizzato e la violenza congiunta di criminali e grandi interessi economici, forse anche per questo hanno deciso di cambiare, al netto dei proprio sbagli, le forme organizzative. Quasi sicuramente anche per questo, pur non sparando più un colpo di fucile dal 12 gennaio del 1994, persistono ad essere un esercito sognando di poter smettere di esserlo, ma come scrisse sempre Marcos, “se c’è un mito in tutto questo non è il passamontagna, ma la menzogna che si ripete fin da quei giorni, perfino ripresa da persone molto istruite, e cioè che la guerra contro gli zapatisti è durata solo 12 giorni”.

Articolo Precedente

Zelensky: “Devasteremo le forze russe nel nuovo anno”, Putin: “Intensificheremo gli attacchi”

next