Nel Venezuela di Maduro non cessano i colpi di scena in questo dicembre 2023. Il mese era iniziato con il referendum sull’Esequibo (3 dicembre), i cui controversi risultati (con numeri di consensi apparentemente ingranditi dal governo bolivariano) avevano portato all’inasprimento delle relazioni diplomatiche con la Guyana e conseguenti tensioni internazionali in tutta la regione. A seguire, poco prima di Natale, altra notizia inaspettata e se vogliamo anche clamorosa: lo scambio di prigionieri pattato con Joe Biden (attraverso la mediazione del Qatar) che ha riportato a Caracas l’imprenditore colombiano Alex Saab.

Sarebbero stati ben 36 i prigionieri politici scambiati da Maduro (di cui 12 statunitensi) nel contesto delle negoziazioni delle Barbados con l’opposizione venezuelana (appoggiata dagli USA) per riabbracciare Saab, arrestato a Capo Verde nel giugno 2020 ed estradato negli Stati Uniti nell’ottobre 2021: l’accusa era quella di essere il testaferro del presidente venezuelano e di aver riciclato 350 milioni di dollari per fare investimenti negli Stati Uniti d’America.

“Voglio dare il benvenuto a quest’uomo coraggioso (…). Dopo 1.280 giorni di rapimento, la verità ha trionfato” ha celebrato Nicolas Maduro in una pomposa cerimonia pubblica realizzata al Palazzo di Miraflores insieme ad Alex Saab. Ma non pago di verità, il governo di Maduro si è speso anche per risolvere uno dei casi che più hanno scosso il Venezuela dell’era post-Chávez. Si tratta della morte dell’amatissimo rapper Canserbero, la cui storia, da poche ore, ha trovato una svolta.

Dal pomeriggio del 26 dicembre rimbalzano infatti sulle maggiori agenzie di notizie e canali di informazione del continente americano i risvolti del “caso Canserbero”. Si tratta di una video confessione rilasciata dalla Procura, dell’ex manager del rapper venezuelano Natalia Améstica, nella quale la donna spiega come sarebbe avvenuto l’omicidio di Canserbero e Carlos Molnar, il 20 gennaio 2015. I due sarebbero stati drogati con Alpram, e successivamente accoltellati dalla stessa Améstica, che avrebbe disposto dei corpi in seguito, inscenando un omicidio-suicidio, con l’aiuto di suo fratello. Natalia non solo era la manager di Canserbero ma aveva anche una relazione con Molnar, il bassista che accompagnava la stella del rap latinoamericano.

La previa versione dei fatti di quel giorno di gennaio di 8 anni fa descriveva una lite tra Molnar e Canserbero, nella quale il secondo avrebbe ucciso il bassista e si sarebbe poi tolto la vita. Versione che non fu mai accettata dai fan e da chi conosceva Canserbero, dubbi che con la confessione di Améstica resa nota in queste ore natalizie, sembrano trovare riscontro.

Nella confessione si può ascoltare la donna spiegare il perché di tale gesto, riconducile a dissapori derivanti dal mancato pagamento della percentuale spettante alla manager e alla volontà di Canserbero di volere chiudere la relazione professionale con la donna. Non mancano però gli scettici che non credono alla confessione di Améstica e parlano di un montaggio per far aumentare il consenso popolare verso Maduro (utilizzando la figura molto amata di Canserbero), in vista delle elezioni presidenziali del 2024.

Un nome, quello di Canserbero, che nelle nostre latitudini probabilmente dice poco ma che in Venezuela e in generale nell’America Latina ispano parlante, ha un forte richiamo artistico ed emotivo. Si perché la vicenda riguardante il cantante rap venezuelano Tirone José González Orama (Caracas 1988) morto in un presunto caso di omicidio – suicidio a Maracay (capitale dello Stato Aragua) aveva da sempre destato sospetti. Tirone José, che scelse il nome artistico di Canserbero rifacendosi alla famosa figura mitologica Cerbero (canis cerberus in latino, animale fantastico dell’oltretomba che custodisce l’entrata dell’Ade nell’antica Grecia) si convertì in poco tempo in una delle figure simbolo del rap in America Latina, tanto che, per la celebrazione dei 50 anni dalla nascita del rap, la rivista statunitense Rolling Stones lo ha coronato proprio nell’ottobre 2023 come il miglior rapper in lingua spagnola di sempre.

“Con testi profondi, una voce inconfondibile e un atteggiamento di solida autenticità, Canserbero ha avuto bisogno di poco tempo per diventare una delle figure emblematiche del rap in America Latina. Le sue canzoni raccontano storie complesse e oscure, sono riflessioni profonde sulla vita, sulla morte, sull’ingiustizia e sulla strada”, così lo definisce Rolling Stones, consacrandolo nell’olimpo della musica, un fatto che per i fan del giovane venezolano scomparso a soli 27 anni era già un dato assodato.

Sono molti gli aspetti della vita di Cansebero che fanno di lui un’icona misteriosa, una specie di poète maudit moderno come ad esempio il fatto che il suo primo disco da solista nel 2010 si intitolasse Vida (Vita) e il suo ultimo lavoro discografico (2012) prima di quello che oggi scopriamo essere stato il suo assassinio, si chiamava Muerte (Morte). E proprio dentro Muerte si trova uno dei suoi più grande capolavori, Es Épico, nel cui testo Canserbero muore, dopo aver vendicato suo fratello, e una volta arrivato all’inferno decide di sfidare proprio il Diavolo in una battaglia di rap.

Ad oggi, in qualsiasi luogo del Venezuela, basta dire “Y el corazón tucum, tucum-tucum” per trovare lo sguardo complice di chi ricorda Canserbero rappeare con il Diavolo, lo stesso Diavolo che chissà oggi starà sorridendo di fronte ad una definitiva (forse) verità sul destino di questo enorme artista morto troppo giovane.

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