Mentre il made in Italy rischia l’estinzione per una preoccupante carenza di manodopera tessile, sulle coste italiane approdano migliaia di migranti che, oltre alla speranza di un futuro migliore, portano con sé abilità sartoriali. “Soprattutto nei Paesi africani, il sarto è un mestiere diffuso. Per questo abbiamo pensato di accogliere e potenziare le competenze di uomini e donne che, quotidianamente, arrivano fin qui su un barcone”, spiega Valentina Guerrera, esperta di comunicazione e innovazione sociale, che ha ideato il progetto LaMin insieme a Manuela Bucciarelli, professionista nell’ambito della cooperazione internazionale.

Lavoro Migranti Integrazione è l’acronimo racchiuso nella denominazione della sartoria sociale, che prende ispirazione anche da un nome molto diffuso nel nord Africa: “Lamin è stato uno dei nostri primi sarti, simbolo di una grande competenza che restava in silenzio, in attesa di un’opportunità per emergere”, ricorda Guerrera, nata in Sicilia, sulle cui coste avvengono decine di sbarchi di migranti, e trapiantata a Roma, città natale della socia nonché centro multietnico.

Tra Messina, città natale di Guerrera, e la capitale si svolgono, parallelamente, i percorsi formativi che offrono un’occasione di riscatto ed emancipazione. I laboratori annuali gratuiti sono rivolti a gruppi di 15 migranti, ai quali, tramite le lezioni di sarti professionisti, si permette di acquisire o consolidare le competenze sartoriali. Intrecciando storie e culture differenti, la sartoria LaMin, avviata grazie a un primo finanziamento da parte di Fondazione Migrantes, è diventata una realtà consolidata che collabora con associazioni ed enti nell’ambito delle attività di inclusione sociale ed economica di persone che, altrimenti, sarebbero destinate a vivere ai margini della società. Tessere un nuovo tessuto sociale è l’obiettivo delle due giovani imprenditrici che intrecciano sapientemente i fili della moda e dell’impegno sociale.

Dopo una prima fase in cui i corsisti sviluppano le competenze sartoriali di base, iniziano a collaborare alla creazione della collezione di abbigliamento. Stoffe africane, stampe wax e tinture batik si incontrano con filati di cotone o filo di lavorazione italiana: così modelli semplici, contraddistinti dalle tinte vivaci evocanti la terra natia, rappresentano pezzi unici di artigianato che custodiscono il vissuto di ogni sarto-migrante. Nord Africa, Bangladesh, Pakistan: diversi sono i Paesi di origine, ma tutti sono accomunati dallo stesso desiderio di imbastire un futuro migliore con ago, filo e perseveranza.

“Spesso rappresentiamo un primo approdo. Alcuni migranti hanno realmente competenze e passione per l’arte sartoriale, altri successivamente intraprendono altre strade, ma per noi è importante rappresentare un’occasione di inserimento e relazione sociale”, ci tiene a precisare la cofondatrice di LaMin, accennando a storie di uomini e donne che, dopo aver intrapreso il percorso formativo, oggi ricoprono un ruolo fondamentale all’interno della sartoria. Come Babakar, 27enne senegalese, che ha imparato a cucire nella bottega dello zio, seppur suo padre lo avesse destinato all’agricoltura. Approdato sulle coste messinesi, ha avuto l’opportunità di alimentare il suo sogno, riprendendo in mano metro e ditale. Oggi lavora in una maglieria ed è tra i sarti professionisti di LaMin.

Ha trovato la sua dimensione nella sartoria di Roma – all’interno di Casa Scalabrini 634, una sorta di cohousing per famiglie e giovani migranti – mentre a Messina, dove LaMin sorge presso il Centro Polifunzionale I’m, a creare abiti e accessori artigianali, sempre nel rispetto della sostenibilità, c’è Nishet, 55enne pakistano con un passato da impiegato di banca nel suo Paese, che con estrema dedizione e professionalità si è reinventato davanti a una macchina da cucire. “Si è appassionato a tal punto che, seppur si sia trasferito a Vizzini (piccolo borgo nel Catanese, ndr), continua a collaborare con noi per realizzare capi unici. Questa competenza sviluppata seguendo il nostro laboratorio gli ha permesso di inserirsi nella comunità”, racconta Guerrera, fiera di aver tracciato, insieme alla socia Bucciarelli, un percorso anche per Yaya, 18enne ivoriano.

Ha scoperto la macchina da cucire in Tunisia, tappa del suo lungo viaggio della speranza. “Il calcio – aggiunge – rimane sempre la sua più grande passione, ma ha dimostrato di cavarsela anche con ago e filo, a tal punto che, terminato il laboratorio, siamo riusciti a fargli ottenere un contratto di collaborazione presso la sartoria della nostra sarta Mary. Allo stesso tempo, ci aiuta con le nostre commesse”. Al momento i provetti sarti sono impegnati nella realizzazione della Panettone Bag, una borsa in tessuto wax che contiene il dolce natalizio. Come la linea home prodotta su commissione per associazioni e aziende, la vendita di quest’accessorio originale permette di sostenere la realizzazione dei progetti di LaMin nonché la remunerazione dei sarti e delle sarte.

“Non facciamo niente di straordinario, ben distanti dall’assistenzialismo, accogliamo le loro competenze e gli offriamo un’opportunità per svilupparle, con lo sguardo volto sempre ai rapporti umani”, dice ancora Guerrera, soffermandosi sull’evento finale di ogni laboratorio – la Migrant Fashion Concept – una sfilata che porta in passerella la bellezza della moda che si rivela occasione di integrazione.

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